Con Branagh «Il flauto magico» diventa una favola popolare
L'opera mozartiana, su libretto in tedesco di Schikaneder, è tornata così ad essere una favola popolare, com'era stata originariamente concepita fin dal 1791. Ora, Branagh l'ha tradotta in inglese «perché - ha detto - volevo portare il pubblico del cinema all'opera. Il nuovo adattamento del libretto è di Stephen Fry ed è ambientato nella Prima Guerra Mondiale. Ma a parte questo, il film (costato 27 milioni di dollari) rispetta l'opera originale. I classici hanno una ricchezza e una complessità incredibili e affrontano temi universali. Non ascoltavo l'opera prima di mettermi al lavoro per questo film, due anni e mezzo fa, e non conoscevo neppure "Il flauto magico", ma ammiravo la riduzione cinematografica di Bergman. Ho studiato, da neofita, la musica e ho imparato ad amarla come spero accada al grande pubblico». Ma a parte Branagh con David e Victoria Beckham, giunti a Venezia per presentare il profumo che porterà il nome del calciatore, la vera grande star, applauditissima ieri sul Lido è stata Meryl Streep, protagonista del film fuori concorso «Il Diavolo veste Prada» di David Frankel, nel quale recita nella parte di se stesso anche lo stilista Valentino. atto dall'omonimo best seller di Lauren Weisberg, il film doveva essere una feroce satira sul mondo della moda e un manifesto contro la terrorizzante Anna Wintour, direttrice dell'edizione americana di «Vogue», dove la Weisberg, qui interpretata dalla giovane Anne Hathaway, faticò sei mesi come segretaria. Ma il lavoro di Frankel (uno dei registi di «Sex and the City») è diventato invece una commedia. La Streep ha ieri dichiarato di non avere un grande interesse per la moda: «Non seguo le sfilate - ha affermato avvolta da un tailleur di Fendi - né le mode e il titolo della mia autobiografia potrebbe essere "Il diavolo veste in jeans". Io in quei vestiti firmati mi sentivo come in una camicia di forza. Ciò che apprezzo del mio personaggio, Miranda, è la sua capacità di dire quel che vuole senza troppe smancerie. Siamo troppo critici nei confronti delle signore che occupano un ruolo elevato nella società e troppo poco nei confronti degli uomini potenti, ai quali mi sono ispirata pur indossando la gonna. Per un'anziana di 50 anni come me, non ci sono più ruoli seri, ma io prendo seriamente ogni personaggio: anche con i film leggeri si può far pensare. Finalmente, dopo questo ruolo che mi voleva magra, tornerò a mangiare. Si parla troppo di taglie, ma io conosco le priorità della mia vita. C'é il mio desiderio di lavorare, di fare carriera, e sono fortunata che chi mi sta accanto (un giovane imprenditore italiano) lo capisca». Oltre a «Nue propriété» di Joachim Lafosse con Isabelle Huppert, era ieri in concorso alla Mostra del cinema una pellicola, definita dallo stesso Muller «il terzo film italiano in competizione». Si tratta di «Quei loro incontri» di Daniele Huillet e Jean-Marie Straub, che ha avuto un'accoglienza contrastata. I due registi che hanno adattato parte dei «Dialoghi con Leuco» di Cesare Pavese, per gravi problemi di salute di Daniele non erano presenti ieri sul Lido e la conferenza stampa non si è svolta. Tuttavia, il marito Jean-Marie Straub, ha scritto di essersi occupato di Pavese, perché lo scrittore affermava: «Comunista non è chi vuole». Per Straub «siamo troppo ignoranti in questo paese, dove ci vorrebbero dei comunisti non ignoranti». Insieme all'attesissimo il secondo film in concorso per l'Italia, «Nuovomondo» di Emanuele Crialese, sarà oggi pure «Il mio Paese» di Daniele Vicari, omaggio al documentarista Joris Ivens che, nel 1960, realizzò «L'italia non è un paese povero», viaggio dal Nord del nascente boom economico al sud affamato, censurato dalla Rai. Nel 2006, lo stesso tragitto percorso all'inverso, da Gela a Venezia, lo percorre Daniele Vicari e arriva alla Mostr