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Tra vecchi maestri e film inutili

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La scelta del critico

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Con l'occasione, la presentazione del suo film più recente, «Inland Empire», naturalmente fuori concorso. Chi si aspettava gli accenti lucidi del cinema verità così vividi in una «Storia vera» rimarrà deluso. Ed anche chi ricordava le cifre thriller così travolgenti di «Mulhollan Drive», visto solo pochi anni fa. Qui c'è il buio, voluto, insistito, e c'è il mistero, fino ai limiti dell'enigma. Al centro una donna che, all'inizio, sembra coinvolta in una trama semplice. È attrice, ottiene la parte di protagonista per un film televisivo, recita a fianco di un attore cui forse è troppo legata. Tanto che il marito minaccia lui e lei. Poi si cambia ed è sempre più arduo - perché il regista così vuole - distinguere le scene del film mentre si gira da altre che forse l'attrice sta vivendo. Con un'episodica, attorno, che tende anche di più a rimescolare le carte: qua, infatti, ci sono dei personaggi che, avulsi dal contesto, parlano fra loro in polacco, là si ritorna spesso su un palcoscenico dove recitano tre personaggi, due uomini e una donna nascosti però sotto delle maschere d'asino e a tutte le loro battute una platea che non si mostra scoppia a ridere. Un puzzle, un gioco nero in cui però Lynch dispiega molte delle sue doti visionarie. Privileggiando l'oscuro anche in modo estremo. Ma con sapienza. Fra i suoi mezzi, l'interpretazione di Laura Dern nei panni della protagonista. Ora realistica, ora astratta, ora allucinata. Una prova d'attrice. Adesso i tre film in concorso. Il migliore (e il più applaudito), «Bobby», americano, dell'attore-regista Emilio Esteves che racconta le ultime ore di vita di Robert Kennedy prima di essere ucciso nell'hotel Ambassador di Los Angeles. Il personaggio, dato solo attraverso materiali di repertorio, è però volutamente meno a fuoco dei molti altri che fanno da coro all'evento (interpretati da attori noti come Anthony Hopkins, Demi Moore, Sharon Stone). Lo schema ripropone la stessa struttura polifonica di «Nashville», la cifra, intensissima, è l'emozione: in chiave umana, politica, sociale. Nel rispetto della Storia. Meriti seri anche nell'opera prima russa «Euforia» di un giovane, Ivan Vyrypaev, dedito fin qui al teatro. La steppa, in mezzo, largo e maestoso, il Don, ai suoi bordi un uomo e una donna che all'improvviso si amano, anche se lei è sposata. Finirà in tragedia. Con toni sospesi, in armonia con un intimismo che sa inserirsi anche tra le asprezze di una cornice naturale volutamente priva di echi lirici. Un esordio che convince. Non ha convinto, invece, il film francese «L'intoccabile» diretto da un praticone del cinema come Benoit Jacquot e interpretato da Isild Le Besco spesso presente nei suoi film. Scoperto che ha un padre indù, una ragazza lascia Parigi e va in India a cercarlo. Ma non gli si rileva. Lo schema che più vorrebbe imporsi è quello del viaggio, con la possibilità di documentare turisticamente anche le cremazioni sul Gange, a Benares. Molti scompensi, narrativi e di linguaggio, le implicazioni psicologiche quasi inespresse. Un film inutile.

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