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La scelta del critico

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«Fallen», ricordi senza pretese

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accolto con simpatia da noi critici, più di recente, per il «Il fiume», «The Hole-Il buco» e «Che ora è laggiù», e premiato a Berlino nel 2004 per «Il gusto dell'anguria» che, invece, molti meriti proprio non li aveva. Meriti indubbi ce li ha invece il film visto ieri che si intitolerà da noi «Occhi cerchiati», ambientato questa volta non a Taiwan ma in Malesia dove Tsai Ming-Liang è nato . La storia si limita a proporre le vicende di un ragazzo che, aggredito e derubato, viene raccolto e curato da un quasi coetaneo con cui divide un misero giaciglio e forse un rapporto omosessuale pur accompagnandosi con una ragazza con cui non riesce mai a fare l'amore perché non hanno un posto dove andare. una vera conclusione non c'è perché gli uomini e le cose non tardano ad essere invasi e soffocati da una nube velenosa provocata da incendi lontani. Al regista, però, non interessa concludere la sua proposta narrativa perché la sua intenzione, questa volta, è una sperimentazione intelligente sul linguaggio del cinema. Quasi nessun primo piano, un fluire continuo di campi lunghi e di piani sequenza con azioni, al centro, rappresentate spesso in tempo reale, pochissimi dialoghi, al contrario molto rilievo dato a suoni sempre forti e a canzoni di sfondo. In una chiave, soprattutto dal punto di vista delle immagini e delle scenografie, aspramente realistico. Forse non tutti apprezzeranno, però la ricerca, all'interno del cinema, è evidente. È suggestiva. Tutt'altre cifre nel film austriaco proposto ieri sera, «Fallen» (Cadere), di un viennese non ancora quarantenne, Barbara Albert, di cui si è vista qui nel '99 l'opera prima «Nordand», che fece vincere alla sua protagonista, Nina Proll, quel premio per la migliore attrice esordiente dedicato dalla Mostra alla memoria di Marcello Mastroianni. Nona Proll c'è anche qui, insieme ad altre quattro che, con lei, secondo la regista dovrebbero tentare una parafrasi del «Grande Fresso», ma tutto al femminile. Lo spunto, per cominciare, è dato dai funerali di un insegnante molto caro a suo tempo alle sue allieve tanto che, arrivando perfino dall'estero, ora sono tutte lì, per ricordarlo con emozione. Sono una disoccupata, una detenuta in libera uscita che si è portata con sé la figlioletta, un'attrice, un'impiegata, un'insegnante. Dopo il funerale non si separano subito, finiscono perfino, tutte in lutto stretto, in una chiassosa e variopinta festa di nozze, non tardano a scambiarsi ricordi (in genere spiacevoli), recriminazioni, pettegolezzi di antichi amori e approdando, alla fine e a più riprese a vari scontri. In un clima che naufraga via via nella più nera amarezza. Come appunto il cinema, di solito, ci propone quando con delle rimpatriate di vecchi amici o di compagni di scuola tende a fare il punto su certi disagi generazionali. In questo caso di trentenni. Una cronaca nel quotidiano. Forse un po' semplicistica.

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