E il popolo dei Ds gli dice sì
È sudato, il sindaco di Roma, dopo l'ennesimo tour de force che lo ha portato in giro per l'Italia. Sudato e stanco dopo l'abbraccio con il popolo diessino. S'avvia verso la macchina, vede arrivare un vecchio militante: «Allora, come sono andato?», gli fa. «Che dici s'acchiappa?», scherza su. Poi prova a riflettere, a tirare un po' le somme dopo aver affrontato l'intervista pubblica (davanti a duemila simpatizzanti): «Be', in effetti gli applausi più fragorosi sono stati per il partito democratico». Poi tira un sospiro, l'affanno incalza, segue un respiro profondo. Insiste l'ex segretario della Quercia: «Ma è ormai sempre così. Non è la prima festa dell'Unità che faccio. Anzi, ne ho girate tante quest'estate. Ed è sempre così. Attorno al partito democratico c'è un grande entusiasmo dal basso». Insomma, non è un'operazione verticistica come poteva sembrare nella prima fase: «Anzi - sottolinea il sindaco di Roma -. La vera spinta arriva dal basso». Se le feste di partito servono a capire il vento che tira, quella diessina a Pesaro è stata una sorta di elezione primaria per la nuova formazione del centrosinistra. Una primaria che ha avuto successo, perché il pubblico si è spellato le mani al solo sentire nominare il Pd. Perché? Perché per il popolo diessino, quello nel quale si dovrebbero annidare più resistenze, il futuro soggetto è anzitutto sinonimo di unità, unità della coalizione. E la sua nascita è condizione fondamentale per la riuscita del governo. A legare i due fattori è stato proprio Romano Prodi: «Se il governo ha successo, è un collaudo per il Partito Democratico, altrimenti è più difficile», ha detto giovedì scorso. E ha insitito: «Unire le forze riformiste, prima nell'Ulivo, ora nel Partito Democratico era il mio solo obiettivo quando sono entrato in politica, dieci anni fa. L'obiettivo non è cambiato, è sempre lo stesso. Io non mollo», ha detto nel passaggio più applaudito. In pratica, se il governo ce la fa il partito democratico è più facile da fare. Ma è sottinteso che se si fa il partito, è più probabile che il governo vada avanti. Un concetto tutto sommato ribadito il giorno dopo da Fassino: «Io sono un ottimista, non vedo chi frena e spero che non ci sia nessuno che lo faccia perché è un errore: se c'è qualcuno che pensa che i dubbi vengono dai Ds se lo tolga dalla testa». Ma il segretario Ds si è spinto anche a sfidare l'opposizione interna: «Nel partito c'è una componente che si definisce sinistra Ds - ha ricordato Fassino - benissimo venga a fare la sinistra del Partito democratico. Io lavoro perché tutto il partito sia protagonista di questo soggetto». Appunto, ma dov'è la sinistra Ds? Nei primi quattro giorni della Festa dell'Unità non s'è sentita. Non c'è stato un mugugno sul partito democratico. Anzi, dalla platea è arrivato un invito a fare, ad andare avanti. L'unica voce critica è giunta nel dibattito tra i giornali di area con Padellaro (Unità), Menichini (Europa) e Polo (Manifesto). Al momento delle domande dal pubblico, un distinto signore s'è alzato e ha confessato di sentirsi ancora «rosso». Altro che democratico. Risate generali. Qualche battuta, qualcuno se la prende un po'. Poca roba, non tale da preoccupare. La profezia veltroniana non è solo entusiasmo del vicepremier che fu al fianco di Prodi nel suo primo governo. Tanto che lo stesso sindaco capitolino non ha nessuna preoccupazione a dire: «Tutti in questa Festa si dichiarerebbero dei Ds, di sinistra e di centrosinistra contemporaneamente». D'altro canto la prima verifica è venuta proprio sul territorio. Da quete parti, zona rossa, il centrosinistra è realtà da molto tempo. Le liti romane sembrano piuttosto lontane. Una prova? Quando catapultarono nella zona di Pesaro Urbino la candidatura di un democristiano doc come Renzo Lusetti, la sinistra storse il naso solo per una ventina di minuti. Il tempo necessario all'ex pupillo di Ciriaco De Mita per cominciare a chiamare tutt