La scelta del critico
Ironia nella solitudine di Resnais
L'ha firmata, del resto, un Grande del cinema francese, Alain Resnais, Leone d'oro nel '61 per «L'anno scorso a Mariendab». Nell'edizione originale si intitolava «Coeurs», qui da noi si chiamerà «Piccole paure condivise» e alla base, ancora una volta dopo «Smoking/No Smoking», c'è un testo teatrale del noto drammaturgo inglese Alan Aycbourn intitolato «Private Fears in Public Places». Riambientato a Parigi, sempre sotto la neve, e con la neve che, simbolicamente, interviene di continuo ad ogni cambio di scena, ha come tema la solitudine. Però anche con malizie e umorismo, pur lasciando, alla fine, tutti i personaggi ciascuno senza avvenire. Isolati dagli altri. Questi personaggi sono sei. Due fidanzati non più giovanissimi (Laura Morante e Lambert Wilson) non molto prossimi a sposarsi a causa delle instabilità di lui. Un barman pieno di saggezza (Pierre Arditi, ma con una famiglia disastrata alle spalle. Un attempata agente immobiliare (André Dussollier), con una sorella giovane e smaniosa (Isabelle Carré) e una collaboratrice (Sabine Azéma) dalla vita «à double face». Sulle orme di Ayckbourn, ma senza più riferimenti al teatro, vengono coinvolti, alcuni senza mai incontrarsi, in equivoci, sorprese, tensioni ma, alla fine, soprattutto in delusioni: quando il destino di ciascuno si rivelerà appunto la solitudine. All'insegna della rinuncia. Alain Resnais ha avvolto questi cinque personaggi in viluppi, sempre velocissimi, in cui il dramma, senza alcun scompenso, si affianca alla commedia. Con tratti nitidi e incisi in ognuno, con dialoghi martellanti ingioiellati da un francese, anche se quotidiano, prezioso e con un senso alto del cinema che, con immagini realistiche, ma sempre di grande valore figurativo, e con ritmi che, alternando rapidamente ogni scena, arrivano a far procedere l'azione quasi di corsa. Salvo sostare malinconicamente alla fine al momento di tirare le somme negative di tutto, e di tutti. Lode senza riserve anche gli interpreti, scelti fra i maggiori del cinema d'oltralpe cui degnamente si accompagna la nostra Laura Morante. Vizi, scattanti, incisivi, sempre veri e sempre lontani, anche nelle soste, dal sospetto del palcoscenico. Il migliore, André Dussollier, irraggiungibile. Tornerò più ampiamente, al momento in cui lo si vedrà nelle sale, sul film inglese di Stephen Frears «The Queen», che atteso con sospetto da Buckingam Palace, si riferisce direttamente alla Regina Elisabetta. L'argomento sono le reazioni della Regina e della Famiglia Reale alla morte della Principessa Diana e all'immenso, inatteso cordoglio di tutto il pubblico britannico e presto del mondo intero. I protocolli e il volontario allontanamento dai Reali da parte di Diana indurrebbero la Regina (d'accordo con lei il Principe Filippo e la Regina Madre, in contrasto il Principe Carlo) a non lasciare Balmoral e a considerare quel lutto un evento privato, mentre, a contrastare quell'atteggiamento in omaggio ai diffusi sentimenti popolari interverrà il Primo Ministro Tony Blair capace di ribaltare la situazione con la partecipazione personale della Regina a quello che saprà diventare un lutto nazionale. Naturalmente questi retroscena, puntualizzati dalla sceneggiatura di Peter Morgan, possono anche essere non veri, ma sa renderli verosimili l'abilissima regia con cui Frears è riuscito poi a rappresentarli. Ha finemente mescolato il repertorio ai fatti ricostruiti, ha messo al centro quella Regina che, pur vista con certi suoi pregiudizi, ha momenti in cui rivela una sua sensibilità, specie in un finale in cui, con Blair, si interroga sulla sua mai smentita fedeltà al suo ruolo. Con una estrema precisione nei dettagli, nelle cornici, nell'etichetta. Ed anche nella scelta di interpreti, quasi tutti inglesi, spesso molto somiglianti agli originali. La più somigliante è Helen Mirren che, come modi, come mimica, sembra quasi una sosia di Elisabetta. Oltre a tutto parla un inglese con il «Queen's accent». Ed è una