di FULVIO STINCHELLI NELLE carte comunali capitoline, il Borgo figura ancora come rione di Roma, per ...
Per la verità, Borgo morì settant'anni fa, nel 1936, sotto la prima picconata, inferta personalmente da Benito Mussolini, a quella che veniva da tutti chiamata la Spina. Per il Giubileo del 1950, Sua Santità Pio XII inaugurava festosamente la via della Conciliazione venuta a sovrapporsi, secondo i disegni architettonici del duo Piacentini&Spaccarelli, a quattordici secoli di storia, a opere d'arte preziose, a vicende umane ora terribili ora meravigliose. Bisogna sapere che il nome Borgo deriva dall'alto tedesco "burg" e gli venne imposto, nel 547, da Totila, re dei Goti, che aveva provveduto a fortificare la zona circostante il mausoleo di Adriano, poi divenuto Castel Sant'Angelo. Ma si sa come son sempre andate le cose a Roma: dovranno trascorrere più di mille anni prima che al Borgo, fin lì considerato parte di Trastevere, vengano riconosciuti titolo e dignità di rione. A provvedere, con bolla del 1° dicembre 1586, sarà Sisto V, il "papa tosto" del Belli. Ne aveva viste di cotte e di crude, in quei trascorsi dieci secoli e mezzo, il nostro Borgo: il ritorno dei papi dall'esilio di Avignone con la decisione di trasferirsi in Vaticano; la ricostruzione della basilica di San Pietro; la trasformazione in centro residenziale d'alto bordo (i palazzi aristocratico-cardinalizi dei della Rovere, Cesi, Serristori e Rusticucci) e commerciale con scalpellini, fonditori e, soprattutto, "santari", i venditori di oggetti religiosi. Insomma, un quartiere prospero e anche provvido, perché vantava col Santo Spirito l'ospedale più attrezzato e progredito, e con la famosa "ruota degli esposti", dove venivano deposti i neonati non graditi, che prima finivano regolarmente nel fiume, mostrava preoccupazioni umane e sociali avveniristiche. Mi accorgo, a questo punto, che mi sto un tantino allargando, nel senso che spaccio per miei rilievi e osservazioni che appartengono al sapere e alla memoria altrui. In particolare a quella di "Spaghetto", singolare personaggio che per essere nato in Borgo Vecchio, numero civico 121 (ora, nel ricostruito palazzo, c'è l'ufficio delle tasse), nel novembre 1928, abbiamo giudicato potesse fungere da nostro testimone privilegiato in questo viaggio della memoria nel Borgo che fu. Spaghetto, perché? «Il nomignolo mi venne affibbiato, quand'ero bambinetto, dal sor Ernesto, sì, Ernesto Sabelli, un vicino di casa che gestiva, in Borgo Nuovo, un forno accorsatissimo. Oh, il pane del sor Ernesto, alla sfornata, lo sentivi per tutto il rione, da Scossacavalli al Mascherino! Dicevo di Spaghetto... Mi ribattezzò così, perché ero molto magro e il sor Ernesto era prodigo d'immagini desunte dal suo lessico artigianale: le servette che s'affollavano al banco, le chiamava "pagnottelle mie". A ripensarci ora, fu proprio lui, il sor Ernesto, a dare il ferale annuncio ai borghigiani». Come? Si spieghi. «Eh, sì, quando si seppe che il forno Sabelli sloggiava da Borgo Nuovo per trasferirsi in via Vitelleschi, fu chiaro a tutti che per la Spina era finita. Trascorsero, infatti, pochi mesi e s'incominciò a "spallare", a demolire. Il sor Ernesto aveva visto giusto. Con la famiglia, se ne andò ad abitare in via Tibullo, in Prati...». In pratica, finiva un'epoca, anche se dire che con la Spina è morto tutt'un rione, be', può sembrare un'esagerazione. «Ma non lo è. Quel triangolo di casette era il cuore di Borgo. Di lì era passato e lì, sotto un arco, aveva pernottato il fraticello d'Assisi prima dell'incontro con Innocenzo III, un incontro che cambiò la storia della Chiesa. Pietre, uomini e cose, come dice lei... Questo era quel Borgo. Ricordo che mio padre, per non urtare la suscettibilità del nonno, strenuo antifascista, custodiva orbace, fez e camicia nera nel baretto sotto casa. Ricordo l'ultima grande alluvione degli anni Trenta: a Borgo Vecchio s'andava in barchetta. Ricordo quando dal dedalo delle viuzze uscivi davanti al colonnato: San Pietro ti esplodeva in faccia... Sa, io sono stato battezzato in San Pietro e intorno alla guglia ho imparato il salto all