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Il grande rock si vende l'anima

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Spiega il rocker di Zocca: «Ho sbagliato, ma come sempre mi è accaduto nella vita, dovevo prima provare sulla mia pelle per capirlo». Rossi parla di «fatto personale», giusto per «la primaria necessità di proteggere le mie canzoni da un'esposizione che ritengo esagerata». Resipiscenza più che tardiva: arriva dopo il lucroso utilizzo di "Come stai" per la Vodafone, due anni fa, all'uscita dell'album "Buoni e cattivi". E dopo il doppio prestito ai creativi del Lingotto, con "Senza Parole e "Rewind" messe lì a magnificare le virtù della Nuova Punto: l'idea era stata di Lapo, prima delle sue rovinose prurigini. Insomma, dopo aver ceduto i diritti di esecuzione a fior di milioni (il compenso è top secret, ma si citano tanti zeri) e goduto del feedback promozionale anche per due tournée e un cd-dvd dal vivo, quella pellaccia di Vasco tenta di candeggiarsi l'anima, sperando di non rimanere con lo stivale incastrato nella tagliola dei venduti a vita. Il messaggio, neppure troppo subliminale, è indirizzato in primis al suo eterno rivale, Ligabue, che quest'anno gli è succeduto nel commento musicale delle réclame dei cellulari. Anche qui, il "prestito" di "Happy Hour" si è rivelato un efficace tormentone targato Vodafone, e Luciano ci ha guadagnato, oltre a qualche sacco di dobloni, il rilancio dell'album "Nome e Cognome", il traino dei concerti estivi negli stadi, e l'aggancio della generazione dei pre-adolescenti, quelli che a dieci anni girano con tre telefonini al collo. «Ma è stato un esperimento che si conclude qui, dopo due mesi», giurano dall'entourage di "Liga", «anche se la Vodafone ci aveva chiesto di continuare fino a dicembre». La querelle tra i due galletti emiliani, strategie artistiche a parte, serve comunque a riesumare l'antica illusione sull'incorruttibilità della musica rock. La sortita di Vasco, «non voglio più vendere i miei sogni», è di per se stessa pubblicità, un "claim" da far invidia ai creativi più navigati. «Io sono quello vero, il duro e puro, a me non mi comprano mica», urla il signor Rossi. Balle, naturalmente. Tutti hanno un prezzo, in quel circo, tutti studiano la via migliore per non perdersi nel labirinto dell'oblio. Sei anni fa Sting tentò di lanciare un nuovo singolo, "Desert Rose": nessuna delle più potenti radio americane, quelle che decretano la fortuna o la morte di una canzone, volle trasmetterla. Sting si rivolse ad alcuni esperti di comunicazione, che gli consigliarono di offrirla a qualche marchio. "Desert Rose" fu inclusa in uno spot tv della Jaguar, e in breve tempo divenne uno dei suoi maggiori hit. Quanto a Dylan, nei giorni scorsi ha fatto rumore il suo anatema contro le nuove tecnologie di registrazione discografica: «Nessuno ha fatto dischi decenti negli ultimi vent'anni, evviva i vecchi long-playing». Ed eccolo lì, in un video per l'I-pod della Apple, la sua figura in controluce, mentre suona per lanciare il nuovo "Modern Times" con una ballerina che gli danza attorno. Non che sia la prima volta: nel'96 il sornione Bob consentì alla Banca di Montreal di citare nei suoi slogan l'immortale "The times they are a changin'", che nella partitura originale non sembrava un inno ai tassi di sconto. Per giunta, non più tardi di due anni fa, il vecchio bisbetico ha addirittura recitato in uno spot per la lingerie Victoria's Secret. Lui rugoso e infido come un lumacone sulle tracce di Adriana Lima in reggiseno e slip a Venezia. Il colpo di genio degli autori era nei primi dieci secondi del clip: l'estratto di una conferenza stampa del '65. A un giornalista che gli chiedeva «per cosa si sarebbe venduto l'anima», il giovane, luciferino Dylan rispondeva: «Per la sottoveste delle donne». Quarant'anni dopo, nell'accordo di scambio, la catena Victoria's Secret si impegnava a offrire nei suoi negozi una compilation

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