Ecco Lady D e la laguna si fa più triste
Oggi a Venezia «The Queen» di Frears sulla monarchia inglese dopo lo schianto di Parigi
Dopo «The Black Dhalia» di De Palma (sull'omicidio di una starlet americana degli anni '40) e dopo «Hollywoodland» di Allen Coulter (sulla strana fine di Reeves, attore del Superman televisivo degli anni '50), oggi la scena del Lido si apre sul caso di Lady D. In «The Queen», film in concorso di Stephen Frears, viene messo in risalto come la morte prematura della principessa Diana, nell'agosto 1997, abbia innescato un'autentica metamorfosi del popolo inglese e del suo atteggiamento verso la monarchia stessa. Per lo sceneggiatore, Peter Morgan, «l'aspetto più interessante da raccontare era il comportamento della famiglia reale nella settimana tra la morte di Diana e i suoi funerali. Era una famiglia in crisi, isolata: radio e tv erano state eliminate perché la Regina aveva deciso di proteggere i ragazzi. Ma per le strade si respirava un forte sentimento anti monarchico. Intanto, da quattro mesi si era appena instaurato un nuovo governo, ma il primo ministro non aveva preso alcuna iniziativa importante. Ecco che con la morte di Diana, Blair trova un ruolo efficace da interpretare: il film è incentrato sul rapporto tra Blair e la Regina». «È una storia - aggiunge Frears - che narra il conflitto tra vecchio e nuovo mondo e la tradizione che è stata un punto di forza, ma anche un punto di debolezza dell'Inghilterra. Diana era sempre stata causa di forti tensioni, da viva, ed era inevitabile che la sua morte ponesse la monarchia di fronte a una sfida, forse la più difficile degli ultimi 50 anni». Non mancano in diverse scene del film, interpretato da Helen Mirrer (la Regina), Michael Sheen (Blair) e Alex Jennings (Principe Carlo), alcuni spezzoni di filmati di repertorio. «Sarà un film controverso - ha concluso Frears - Di scioccante c'è solo il fatto che abbiamo cercato di rappresentare la Regina come una donna e non come una figurina di carta». Ieri, c'è stata intanto un'accoglienza fredda e con pochi applausi da parte della stampa, per il film di Oliver Stone «World Trade Center», fuori concorso a Venezia e già presentato a Cannes in versione ridotta. Il film, uscito da tre settimane in Usa, ha già incassato 16 milioni di dollari e Stone è sicuro che avrà successo anche nel resto del mondo, essendo il primo docudrama sull'attentato dell'11 settembre alle Torri Gemelle di New York. Sebbene quello di Stone sia stato etichettato come film «di destra e pro America», il regista in conferenza ha ribadito di aver voluto solo «mantenersi nel segno dell'emozione». Alla presenza dei due veri poliziotti della Port Authority, sopravvissuti l'11 settembre, (il sergente John McLoughlin interpretato da Nicolas Cage e il suo collega Will Jimeno interpretato da Michael Pena), Stone ha sottolineato più volte che «il cuore umano aiuta a ad unire la gente, mentre la politica divide. Credo che ci attenda un orizzonte davvero scuro e lo dico io che ho visto la morte da vicino in Vietnam. Ora c'é solo come un grande buio». Analogo pessimismo lo ha dichiarato Paul Verhoeven nel suo film in concorso «Black Book», nel quale racconta come «gli esseri umani si comportino ancora da animali. La prova è che ci sono stati 150 milioni di morti per guerra in questi ultimi anni». Ispirato a eventi realmente accaduti, il film dimostra che in guerra tutti possono diventare colpevoli. L'odissea è quella di una bella ragazza ebrea olandese Rachel Steinn (Carice van Houten) che vede la famiglia massacrata dai nazisti, poi, la sua adesione alla resistenza olandese e il suo innamoramento per l'ufficiale tedesco Muntze (Sebastian Koch). Applausi a scena aperta nella sala grande del palazzo del cinema per il requiem «When the levees broke» di Spike Lee, documentario di quattro ore (nella sezione Orizzonti) sulla tragedia di New Orleans, sconvolta dall'uragano Katrina un anno fa. Altra applaudita star sul Lido è stata infine Juliette Binoche, in un'inedita versione bionda