Venti anni di lotta in famiglia tra rock e diversità
Visto dal critico
UN LUNGO cammino per accettarsi (e farsi accettare). Lo percorre, dagli anni Sessanta agli Ottanta, un ragazzo canadese, con quattro fratelli, una madre dolce e un padre maschilista, quando via via si scopre delle inclinazioni omosessuali. Le reprime in tutti i modi, e non solo perché, attorno, in famiglia e fuori, sente un ambiente ostile; alla lunga, però dopo peripezie numerosissime e scontri anche violenti con il padre, smetterà di lottare e seguirà le proprie tendenze. Senza più opposizioni. Ci ha raccontato questo cammino un regista canadese, Jean-Marc Vallée, che, pur arrivato a un quarto film, nè mi risulta conosciuto da noi. Non so quanto possa convincere. La sua storia è abbastanza pasticciata. Per indicare il trascorrere degli anni fa tappa, ogni volta, al cenone di Natale che, sempre per precisare certe date, fa commentare da note canzoni dei Rolling Stones e di David Bowie, intercalate da esibizioni canore del padre che, patito di Aznavour, ne canta via via i successi senza però coprire mai la celebre voce dell'altro. Un espediente che un suo peso ce l'ha, anche perché, sempre per far capire le evoluzioni sociali e di costume di quei vent'anni, il giovane protagonista e i suoi fratelli si propongono secondo i vari mutamenti degli atteggiamenti e delle mode, non trascurando quelli che, anche in Canada, segnarono il trapasso dal rigore ad una certa scapigliatura sessuale. Scelto tutto questo come cornice, però, in mezzo Vallée si è diluito in una esposizione prolissa delle varie contraddizioni del protagonista, spedendolo addirittura in Medio Oriente, facendolo perdere nel deserto e animandogli attorno una serie di personaggi spesso incongrui che stentano a trovare gli spazi giusti all'interno di un'azienda in qualche passaggio non priva di una sua logica ma, in genere, più spesso disordinata e confusa. Anche dal punto di vista del linguaggio (non lo definirei stile). Ora incline alla cronaca, ora indulgente con dei tentativi di visionarietà che sfociano però quasi sempre nella retorica: senza che davvero ne riscatti le contraddizioni la voce narrante del protagonista intento, in modo realistico, a confidarsi e a confessarsi: spesso anche in chiesa... Gli dà volto un attore che in Canada sembra noto, Marc-André Grondin, intento spesso a cantare dal vivo delle canzoni di David Bowie. Per non essere da meno dell'interprete del personaggio del padre, Michel Côté, che riesce sempre a unire la sua voce a quella di Aznavour. In modo gradevole, certo, ma ai limiti del giochetto.