Visto dal critico

KIM KI-DUK e l'ossessione amorosa. Andando ben oltre gli schemi e gli accenti cui ci aveva finora abituati. Anzi, sia pure con un linguaggio sempre prezioso, sfiorando persino una fantascienza indulgente con l'horror. Lei e lui vivono insieme da due anni, sono giovani, si piacciono, il sesso reciproco li soddisfa. Fino al giorno in cui lei comincia a temere che lui ne sia meno soddisfatto, forse per l'abitudine, forse per un attenuarsi dell'amore, forse perché c'è un'altra donna. Così, in segreto, di sua iniziativa, decide di diventare un'altra donna. Scompare, si nasconde e da un chirurgo plastico si fa cambiare radicalmente il volto, proponendosi, con queste sue nuove fattezze, a lui che, rimasto solo, soffre a tal segno di solitudine da cominciare a guardare quasi con amore a questa seconda donna che, nascosta sotto un'altra identità, ha incontrato come per caso. Quando però scopre la verità, dopo una spiegazione violentissima, non trova di meglio, per dare un senso nuovo a quel rapporto, di scomparire a sua volta chiedendo ad un chirurgo plastico di cambiare il volto anche a lui. Con un finale drammatico che ci proporrà lei alla disperata ricerca di lui nascosto ormai sotto nuove sembianze. Un finale che può non convincere così come convince a fatica, sul piano psicologico, la decisione di lui di cambiare faccia e di nascondersi. Però molto, in questi scompensi, è riscattato dallo stile con cui Ki-duk, ormai il n. 1 del cinema coreano, ha sublimato queste vicende singolari. In un bianco e nero smaltato, in una Seul ultramoderna, con ritmi che, pur accettando gli strappi e le impennate, riescono a pedinare da vicinissimo quei due personaggi, con pochissimi altri attorno, chiudendoli in atmosfere in cui la quiete non ha mai spazi, sostituita da un'ansia che progressivamente sa trasformarsi in un'angoscia costante. Con un confronto che è sempre uno scontro, con un crescendo di ambiguità che tutto avvolge e con delle ricerche visive capaci di far scaturire, tra le pieghe di un reale dalle apparenze sempre più quotidiane, delle fervide sollecitazione al fantastico. Specie quando i due si danno a frequentare un'isola popolata di sculture moderniste che si insinuano, nella cronaca, con raffigurazioni ora abnormi ora addirittura mostruose. Accentuando i reconditi significati metaforici cui Kim Ki-duk ha inteso avviare questa sua impresa. Da accogliere forse senza entusiasmo, ma certamente con rispetto. Perché dominata dall'intelligenza.