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«La fantasia mi aiuterà a far ballare il mio corpo»

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A 70 anni: poichè colei che fu la più grande danzatrice classica italiana e forse del mondo nel Novecento, domenica 20 spegnerà le candeline sulla torta. E Pippo Baudo sta pensando a un omaggio in Rai per il suo compleanno, così come per i 70 anni delle Kessler. Ma pare proprio che per lei questo anniversario sia un giorno come un altro. Nell'ambito del Festival Mozart di Villa Oliva a S.Pancrazio (Lucca) diretto da Herbert Handt, il "Requiem" mozartiano - nel 250° anniversario della nascita del compositore - verrà eseguito in forma di sacra rappresentazione, con l'Orchestra Sinfonica Città di Grosseto e i Solisti del Coro Filarmonico di Praga diretti da Herbert Handt, con la regìa di Beppe Menegatti, l'allestimento di Elena Puliti, la coreografia di Luc Bouy e la partecipazione straordinaria di Carla Fracci, con Alessandro Molin e parte del Ballo dell'Opera. Partecipazione proprio straordinaria non si direbbe, visto che la matura ballerina, nonchè direttrice del Corpo di Ballo del Teatro dell'Opera di Roma dal novembre 2000, l'anno scorso danzò nella stessa sede lucchese uno "Stabat Mater" in omaggio a Luigi Boccherini (per il bicentenario della morte) e che le sue presenze sul palcoscenico dell'ente lirico romano sono costanti e ravvicinate, compresa l'ultima alle Terme di Caracalla in giugno, nel ruolo creato ad personam di Gran Vestale nel balletto ottocentesco "La Vestale" di Viganò, oggi coreografato da Paul Chalmer. Signora Fracci, ha scelto lei il "Requiem" di Mozart, opera estrema e plumbea, o avrebbe preferito un altro capolavoro del salisburghese, a ridosso del suo compleanno? «È stato il direttore artistico a scegliere l'opera ed il mio compleanno non c'entra. Altri hanno abbinato le due cose. Il "Requiem" è una composizione profondamente significativa ed è per me emozionante partecipare alla realizzazione di questa musica. Anzi, vorrei dedicare questo mio nuovo lavoro a tutti i bambini del mondo, specialmente a quelli che in questo momento storico soffrono le atrocità della guerra, della fame, della malattia». Lo ha fatto anche con "Nozze di sangue" nel 2005: "la mia danza sarà in ricordo di tutti i figli perduti di tutte le madri del mondo"... «Ma anche più indietro, nel 2000, in "Gerusalemme", imbracciai il fucile interpretando - secondo una bellissima lirica di Mario Luzi - la Madre che difende i figli, palestinesi o ebrei che siano». È madre anche lei. Ma perchè definisce uno spettacolo di danza come un "lavoro"? «Fin dalla mia infanzia milanese, accanto a mio padre tramviere, quando pensavo ancora di fare la parrucchiera perché mi piaceva pettinare, ho pensato che il lavoro sia la cosa che più di qualsiasi altra gratifichi l'uomo. Lavoro, lavoro, lavoro... Anche Beppe, mio marito, con la sua vicinanza mi ha aiutato a spostare sempre il traguardo d'arrivo, a lavorare, e sempre di più con la fantasia, quando il corpo comincia ad aiutarti meno». Molte danzatrici infatti smettono ben prima di lei, perché questo "lavoro" è diverso dagli altri. Può ricordarci uno dei momenti di maggior emozione di tale occupazione? «Fondamentale per la mia carriera, fu la notte di Capodanno del 1955. Al Teatro alla Scala nella "Cenerentola" era impegnata la grande francese Violette Verdy, che improvvisamente fu richiamata a Parigi. La sostituta ero io, diciannovenne appena diplomata, di cui si pensava di non avere bisogno. Si decise subito di dare la parte alla prima ballerina della Scala, ma io col mio caratterino dissi: "Non posso certo pretendere, però fatemi almeno provare, datemi questa possibilità". La mattina dopo la Direzione era in platea per assistere alla prova: portai a termine tutta la "Cenerentola", la sera andai in scena e fu l'inizio della mia ascesa». Un incontro al di fuori della danza? «Quello con Eduardo De Filippo. Mi ammirava tanto: in un momento di mia particolare stanchezza, volle invitarmi a passare qualche giorno in una sua casa al mare, dove sarebbe venuto a trovarmi. Accettai, portando c

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