Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

di NANTAS SALVALAGGIO È STATO uno choc: come vedere il protagonista di un film sbucare dallo schermo e sedersi in platea.

default_image

  • a
  • a
  • a

Alle otto del mattino. «Sono Anita Ekberg...» disse. Strappato bruscamente dal sonno, ho pensato a uno scherzo. Ma la voce ha ripetuto con impazienza: «Sono Anita Ekberg, mi sente? È lei il signor Nantas?» «Non lo posso negare». «Allora l'avverto che sono molto arrabbiata, anzi furibonda». Non ho avuto più dubbi, nessuno poteva imitare l'Anitona così bene, con quelle inflessioni di voce vellutate e tenebrose. Ma perché ce l'aveva con me? Intanto mi sembrava di rivederla, mentre s'immerge nella Fontana di Trevi e grida: «Marcello, vieni!» Quanti anni saranno passati dal suo duetto notturno con Mastroianni? La «Dolce Vita» è del 1960. E io quella sera c'ero, a contemplare la magica regia di Fellini. Purtroppo Anita non è in vena di nostalgie, pretende le mie scuse: «Lei ha scritto su una rivista inglese che una sera sono salita in macchina con Fellini, e lui mi ha portato a pomiciare al Pincio...» «Veramente il mio racconto era più articolato, e in ogni caso era tutta farina di Fellini». «Fandonie, tutte fandonie! Io non sono mai stata sulla sua macchina, e tanto meno a far "petting" al Pincio!» «Forse Federico stava immaginando una scena da film. Lei sa bene come sono i registi, quando girano: entrano in una sorta di trance». «Ma quale trance! Federico era un amico, e non lo rinnego, ma pure un cacciaballe che non finiva mai». «Mi scusi, Anita: le pare generoso fare un processo a un vecchio amico, che oltretutto non c'è più?» «E allora, secondo lei, dovrei lasciar correre..." "Non dico questo: lei può dire la sua. Ma provi a capirlo, Federico: è stato molto innamorato di lei». «Questo lo sapevano tutti». E con un secco saluto ha fatto clic. Ancora a disagio per l'umiliante rabbuffo, ho ripensato a Federico nella sera d'autunno in cui presentò a Londra «La dolce vita». Fu un trionfo. Lui era raggiante, come uno che sente la gloria ai suoi piedi. A mezzanotte tornammo al Claridge, dove aveva una «suite». C'erano con lui l'attrice Yvonne Furneaux e lo scrittore Leopoldo Trieste. Cenammo a base di salmone e champagne. E fu lì che Federico mi parlò di Anita e di quello che lui chiamava la «sindrome del Cavallerizzo». L'aveva scoperta in un libro di Stendhal, «De l'amour», dove un ufficiale di cavalleria fa cilecca con una bella signora. E ne spiega la ragione: «Quando si è troppo innamorati, la virilità si sfarina; e al momento topico il sangue diventa ghiaccio». Allo stesso modo era franato l'ardore di Federico per Anita, che probabilmente non s'era accorta di nulla. Ma nella confessione di lui la notte del Pincio si colorava di una comicità surreale. «La colpa è solo mia» si sfogava Fellini, «perché ogni sera che ci salutavamo a Cinecittà, io ripetevo ad Anita le cose che le diceva Mastrojanni nel film: "Tu sei la Terra, sei il Sole, sei l'amante, la mamma, sei l'eterno femminino!» Finché una sera Anita si stufò di quell'ammuina e disse: «E va be', portami fuori a cena!» Grande attore naturale, Federico mimava la propria insicurezza: «E adesso, che faccio? Come me la cavo con questa statua di donna? Mi sentivo nei panni d'un senza-patente messo a guidare un bolide da corsa... Dunque comincio a guidare da Cinecittà verso Roma, mi faccio un paio di Lungotevere, e intanto mi domando: ammesso che lei acconsenta, io come rispondo? Niente, rispondo, perché il mio corpo è inerte, deboli i miei muscoli, e solo la lingua è pimpante. E così provo a decantare la bellezza del tramonto, le nuvole sul Cupolone di San Pietro, e piano piano salgo ai vialetti del Pincio. Lì ci andavo da giovanotto, ai tempi magri del Marc'Aurelio. Ma neanche il Pincio mi fa effetto. E allora via, torno giù al centro e mi fermo alla prima farmacia. Poiché sono le nove passate, è già chiusa. Allora scendo dalla macchina, suono il campanello e da una finestrella compare un commesso. «Lei non avrebbe un qualcosa per tirarmi su?», gli dico. Quello non capisce. E io: «Una pillola, un qualcosa che mi ritempri». Il commesso sbadiglia e fa: «Vuole un ricostituente?» Salut

Dai blog