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Il cinema puro alla francese parla con il silenzio

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La famiglia anche adesso, in una fattoria persa tra le campagne francesi. Il titolo, «Le dernier des fous», da tradursi «il più pazzo di tutti», è subito abbastanza indicativo del clima in cui ci introduce. Una madre con crisi depressive ma anche urlate, un padre inetto succube di una madre autoritaria che vuol fargli vendere la fattoria, un fratello travolto da una disperata passione omosessuale, e poi lui, Martin, il protagonista, un bambinetto di dieci anni che guarda e giudica, con il solo sostegno affettivo di un'anziana domestica marocchina. Il film, la storia, sono solo quello che il bambino vede, alcune cose intuendole, altre lasciandolo estraneo. Nel romanzo ambientato in Canada cui Achard si è rifatto per il suo testo, l'occhio del bambino era svelato da lunghi monologhi. Qui, invece, ci sono i fatti e gli atti, sempre però nella sua ottica. fino a un terribile dramma finale che, dopo il suicidio del fratello, sembra, nelle intenzioni, voler riportare l'ordine là dove il bambino aveva visto solo il disordine. Ritmi lenti, sempre con un sapore di immediato, immagini ferme (mancano quasi del tutto i movimenti di macchina), situazioni, più che espresse, lasciate in più momenti solo intuire, molti primi piani del piccolo protagonista, di scarsissime parole, non bello come di solito sono i bambini al cinema, ma sempre molto espressivo nei suoi silenzi e nei suoi sguardi. Senza neanche il sostegno della musica perché, nella colonna sonora, si ascoltano solo le voci della campagna, gli scricchiolii della casa, il frusciare del vento. Cinema allo stato puro. Che sa parlare senza dire. Un cinema di meriti quasi simili, anche se più limitati, nel film iraniano «Fuochi d'artificio del mercoledì» di Asghar Farhadi, che, per dirci dell'abitudine di festeggiare il capodanno (il primo giorno di primavera) con grandi pulizie in tutta la casa, ci dice di una giovane domestica assunta per l'occasione da una famiglia borghese e messa presto a contatto con tutti i problemi di quella. Un linguaggio nitido, un'azione svolta con quieto realismo. E, come sempre nel cinema iraniano, con un seguito di facce all'insegna dell'autentico. Un solo accenno a margine, adesso, alla proiezione fuori concorso in Piazza Grande del film «Quale amore» che Maurizio Sciarra («Alla rivoluzione sulla due cavalli») ha tratto, aggiornandola a oggi, dalla «Sonata a Kreutzer» di Tolstoi con Giorgio Pasotti e Vanessa Incontrada. Non ha avuto molto successo, ma quando da noi lo si vedrà anche in televisione )la sua destinazione più evidente) potrà forse convincere.

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