La coppia Hutton-Swinton non salva Stephanie

Quella era un'opera prima abbastanza convincente, questo, «Stephanie Daley», pur essendo la sua regista, Hilary Brougher, alla sua opera terza, lascia piuttosto perplessi, sia per come è costruita la sua vicenda, sia per i modi con cui poi è rappresentata. Cominciamo con la ragazza che si annuncia nel titolo. Stephanie Daley, appunto. Va ancora a scuola ma un giorno, dopo un incontro un po' focoso con un compagno di classe, si ritrova in stato interessante. Però non se ne rende conto subito, o così sembra, venuto il momento, perciò, partorisce turbata nei bagni della scuola e si ritrova con una bambina morta tra le braccia coperte di sangue. Morta perché nata così o perché lei l'ha uccisa, recidendole addirittura il cordone ombelicale con i denti? In attesa che l'inchiesta, subito avviata, lo appuri, Stephanie viene sottoposta alle cure di una psicologa specializzata in criminologia anche lei con problemi: intanto perché si teme tradita dal marito poiché, tempo prima, dopo un parto difficile, le è nata una figlia morta anche quella e adesso, di nuovo incinta, teme di andare incontro ad una situazione analoga. La storia, molto più che sull'inchiesta giudiziaria, tenuta si sfondo, si dipana soprattutto attorno al rapporto fra le due donne, chiusa in se stessa e senza molta coscienza di quello che ha fatto, Stephanie, intenta a sondarla e a rincuorarla, la psicologa, tentando spesso di vincere i turbamenti personali che l'affliggono. Però quasi senza nessuna dinamica psicologica, con un'azione che sposta via via i propri interessi sia sulle vicende dell'una sia su quelle dell'altra, inerte e quasi impacciata quando, di tanto in tanto, le intreccia soprattutto per far risaltare il contrasto fra le due differenti posizioni e, anche un po', i due quasi opposti atteggiamenti morali (Stephanie che quel parto non lo voleva, la psicologa che, invece teme di non veder positivamente concludersi il proprio). Senza ritmi, con un progredire lento anzi addirittura esitante, delle varie situazioni e con il solo riscatto di una recitazione affidata a interpreti di buona fama. La psicologa, infatti, è addirittura Tilda Swinton, con intensità e rigore, la ragazza, spesso con accenti felici, è Amber Tamblyn e all'unico personaggio maschile di rilievo dà volto con serietà Timothy Hutton. Ma non bastano a farci credere nel film. Così come non si crede, e allora in modo assoluto, al film portoghese «Body Rice», dell'esordiente Hugo Vieira da Silva, su un programma di riabilitazione in Portogallo a favore di un gruppo di giovani tedeschi sbandati e apatici. Quella loro apatia dilaga su tutto e lo inceppa. Al limite dell'insopportabile.