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Dalla Catalogna il cinema lirico di Marc Recha

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Se n'è assunta l'impresa un autore, Marc Recha, già premiato qui a Locarno per la sua opera prima, «El cielo sube» e poi molto festeggiato a un festival di Cannes per la sua opera seconda, «Pau i el seu germà». Oggi, anche più maturo, e sempre intento a perseguire un modo di far cinema rarefatto e lirico, come da noi il Franco Piavoli del «Pianeta azzurro» e di «Nostos», ci propone la storia, anzi la non-storia, di due giovani fratelli, Marco e David, partiti, nella natura, alla ricerca delle memorie di un amico del primo, Ramón, scomparso da poco. Una ricerca che è il film, con incontri vari, situazioni sospese, l'accento, appunto, sulla natura attorno, il personaggio principale della non-storia. In plaghe desertiche, sotto un caldo torrido, acque e boschi, panorami immacolati, quasi celino paradisi perduti. Con immagini di una purezza estrema, dal vero - sempre - ma rielaborate con gli occhi di un pittore e, soprattutto, in costante primo piano, un sonoro che "racconta" anche al di là di quanto non raccontino i fatti. Sia con le voci dell'estate, grilli, cicale, sia con echi di sconvolgimenti lontani - le cannonate della guerra contro i fascisti di Franco - sia con le altre "presenze" della natura: lo scorrere dei fiumi, il rimbombo sordo dei tuoni. Un poema visivo e sonoro. Un cinema alto. Ancora giovani negli altri due film del concorso, l'americano «Half Nelson» e il coreano «Non guardarti indietro», entrambi di esordienti. Ryan Pleck, il giovane americano, ci porta in una scuola di Brooklyn dove un insegnante idealista fatica a trasmettere le proprie convinzioni a un gruppo di adolescenti perennemente ribelli e a disagio. Lui stesso, però, non è a posto, perché vittima della droga. Riuscirà ad uscirne grazie alla solidarietà comprensiva di un'allieva afroamericana, pur a sua volta con problemi.Modi di rappresentazione sicuri, immagini secche, uno stile che non si lascia ammorbidire dal finale consolatorio. Arrivando invece, quasi sempre in modo compiuto, alla dolente metafora dello smarrimento di certi valori americani. Kim Young-nam, l'esordiente coreano, con il racconto delle vicende di tre giovani, una studentessa, un riparatore di telefoni, un militare, tende a un ritratto dello sconforto della quotidianità all'insegna della difficoltà di comunicare. Privilegiando i silenzi e i tempi morti. Con un testo, forse discontinuo, ma che non impedisce a certi climi di imporsi. Sia pure senza i lirismi di Kim Ki-duk. Non dimentico di citare, però, un documentario svizzero su Carla del Ponte, «La lista di Carla», che domenica, fra gli spettatori di eccezione avrà la nostra Ilda Bocassini, e il passaggio rapido di Willem Dafoe venuto qui a ritirare un premio denominato (a questo Festival che parla italiano) «Excellence Award». L'americanismo anche in Ticino.

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