Il realismo sardo nella visione di Pau
Oggi, anziché su un ring, ci porta in un carcere dove finisce un diciassettenne, Johnny, appunto, che pur uscito da una famiglia di onesti lavoratori - il padre e il fratello sono operai in una raffineria di petrolio nel sud della Sardegna - ha preferito strade più spicce per far soldi, lasciandoci le penne. Condannato a tre anni (è minorenne), mette sempre più in risalto le sue insofferenze e dopo vari contrasti con gli altri ragazzi arriva a tentare il suicidio. Per venirgli incontro, anziché continuare a tenerlo lì, lo inseriscono in una comunità -la Collina del titolo - dove un prete e dei volontari, uomini e donne, si danno molto da fare per aiutare gli "ospiti" e superare i loro traumi. Una volontaria, soprattutto, che dopo anni di carcere (ha ucciso il padre che abusava di lei) adesso si è dedicata ad aiutare gli altri. Con molto impegno. Johnny sembra seguirla, ma in realtà, ora che non è più tra le sbarre e senza una vera sorveglianza, medita di scappare e lo fa alla prima occasione che gli si presenta. La sollecitudine della volontaria, però, ha fatto una certa breccia nel suo animo, così, quando la sua fuga lo porterà su una scogliera isolata dove potrebbe anche assecondare le sue aspirazioni al suicidio, si ferma. E anche il film, che ha il pregio di restare aperto, lasciando allo spettatore di optare per le soluzioni che meglio gli son state fatte sentire. Un altro pregio è il disegno psicologico di quel personaggio ora violento, ora ribelle, ora frustato, costruito con cura in quell'ambiente carcerario che, specie quello della comunità, avrebbe molte possibilità di venirgli incontro. Tratteggiato con molto realismo - tra l'altro, a fianco degli interpreti, ci sono dei non professionisti scelti in quegli stessi ambienti - e, dal punto di vista delle immagini, con ricerche di linguaggio, tra il visionario e il concreto, spesso vicine a uno stile. Ieri, però, oltre al film italiano, accolto con simpatia, si è visto, di primo pomeriggio, in una sezione non competitiva un documentario americano di lungometraggio, «This film is not yet rated» («Questo film non è stato ancora classificato»), che ha messo a nudo i sistemi e i retroscena di quei meccanismi di autocensura di cui l'industria cinematografica negli Stati Uniti si vale, a suo dire, per difendere gli spettatori. Un tale seguito di decisioni più che discutibili da destare qui, specie fra i non addetti ai lavori, delle occasioni fra lo stupore e la comicità. Culminate dalla furba informazione con cui il regista, Kirby Dick (un nuovo Michael Moore), ci ha fatto sapere che il film, sottoposto a quei censori, ha ottenuto la classifica peggiore, il divieto ai minori...