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di NATALIA POGGI C'È un libro made in Usa che occhieggia sugli scaffali delle librerie pigiato tra le ...

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Quella collocazione non gli fa onore perchè «Il Caravaggio perduto» (Rizzoli, 298 pagine, 17 euro), scritto da Jonathan Harr non è una fiction, tantomeno una storia inventata di sana pianta. Piuttosto la ricostruzione dettagliata e documentata con la pignoleria tipica del giornalismo investigativo americano, del miracoloso ritrovamento nel 1990 di un capolavoro caravaggesco di cui s'erano perse le tracce da secoli: «La Cattura di Cristo», oggi alla National Gallery di Dublino. Un intreccio che parte dalla ricerca di una studiosa romana, Francesca Cappelletti, e che passa attraverso le analisi di un illustre storico dell'arte inglese, sir Denis Mahon, e arriva a un restauratore italiano che vive a Dublino. La vicenda si dipana nel triangolo Roma-Londra-Dublino. Si badi, tutti personaggi ed eventi veri in questa fiction-giornalistica che, maraviglia, negli Usa ha già venduto due milioni di copie. Jonathan Harr, le sue inchieste sono uscite sul «New Yorker» e sul «New York Times magazine», è un fabbricatore di best seller. Il suo primo libro Azione Civile (1994) è stato un successone. Robert Redford ne ha comprati i diritti e c'è venuto fuori anche un bel film con John Travolta protagonista. Si tratta di una storia (vera) e molto americana fatta di disastri ambientali, avvocati risoluti e un bel finale edificante. Ma cosa c'entra la Roma del Seicento, la pittura del Caravaggio e il polveroso e provinciale mondo accademico romano con l'illustre penna di prestigiosi magazine americani? Harr in un pomeriggio d'estate minaccioso di pioggia mi si è materializzato seduto al tavolino di un bar di piazza San Lorenzo in Lucina a Roma. Ha voluto sperimentare un caffè lungo macchiato (snobbando per una volta l'immancabile cappuccino) e, incurante di alcuni piccioni svolazzanti sulla sua testa, ha iniziato a raccontare la sua storia: «Mentre aspettavo di diventare ricco, Redford non aveva ancora comprato i diritti di Azione Civile, leggo su un trafiletto del New York Times che a Dublino era stato scoperto un Caravaggio che ormai si riteneva perduto per sempre. Pensai subito di farci un articolo, anche perchè avevo bisogno di soldi. Il mio conto corrente in banca era scoperto. Il giornale mi mandò a Dublino e poi in Inghilterra. Conobbi così gli studiosi che hanno contribuito al ritrovamento. Avrei voluto anche andare a Roma, ma il giornale mi negò i soldi. Comunque la storia del Caravaggio mi affascinò subito. E subito pensai: quando diventerò ricco ci farò un libro». Passano gli anni e Harr diventa veramente una star. E casualmente nel 2000 viene invitato dall'Accademia americana a Roma. Nella Capitale respira l'aria del grande Michelangelo Merisi, calpesta gli stessi luoghi che lui bazzicava, vagheggia le stesse atmosfere, i tramonti impalpabili riflessi sugli antichi palazzi, le ombre della sera allungate nei vicoli del centro storico... «Era il 2000 e mi riprese l'idea del libro». Come un segugio d'altri tempi si mette a caccia dei protagonisti. E si fa ri-raccontare tutto con superdovizia di particolari. Comincia con la ricercatrice (oggi docente universitaria a Ferrara) Francesca Cappelletti con la quale realizza più di 40 interviste e un centinaio di telefonate. «Volevo sapere anche i dettagli più insignificanti, perfino la foggia dei capelli e gli abiti che indossava all'epoca». Descrizioni accurate come quando Francesca insieme alla collega Laura con una macchina vecchia e scalcagnata risale la Salaria per raggiungere Recanati dove poi scopre preziosi documenti dell'antica famiglia Mattei che commissionò al Caravaggio varie opere, compresa la Cattura di Cristo. «Il mio è un genere nuovo - ha spiegato ancora Harr - è una sorta di detective-story, fiction giornalistica. Racconto vicende vere usando la tecnica del romanzo d'avventura». «Meglio di un thriller» è stato infatti definito in patria il «Caravaggio perduto» di Harr. E chissà che non ne scappi fuori un altro film. Con Maurizio Calvesi, Claudio S

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