di FULVIO STINCHELLI L'8 MAGGIO scorso, Roberto Rossellini avrebbe compiuto cento anni.
In un'epoca come la nostra, "ammalata" di commemorazioni, ci saremmo aspettati adeguate celebrazioni. Invece niente, o quasi. Evidentemente, a giudizio dei media, il padre del neorealismo, il romano che s'inventò il "nuovo cinema" non tira più, non interessa. Poco importa che Otto Preminger, coetaneo di Roberto Rossellini, ebbe a dire che «il cinema ha due ère, con Roma città aperta nel mezzo». Già, Otto Preminger... Ma chi era costui? La verità è che Roberto Rossellini come cineasta, come artista, come genio, si sottrae a tutte le categorie e classificazioni. Una volta, agli esordi della mia carrieruzza d'intervistatore, lo sentii dire, nel suo bel romano dei quartieri alti: «Io regista? Lo dice lei. Sa cosa sono, io? Una cicala. Canto d'estate, ma l'inverno sono guai». Gl'inverni di Rossellini erano lunghi e tormentosi. Specialmente per i suoi creditori, tenuti ad attendere con fede, speranza e carità che il maestro incassasse il compenso per il suo ultimo film. Ne sanno qualcosa i fratelli Guarnacci, trattori a via Borgognona e dintorni. Nei loro stimati locali, specie da «Nino», l'autore di Paisà, sullo stile di un gran signore rinascimentale, teneva "tavola aperta". Nel senso che chi arrivava, purché amico riconosciuto, si sedeva, mangiava e... non pagava. Si allungava cosi lo zeppo, il conto che l'anfitrione avrebbe poi saldato con comodo. Con questa costumanza, Rossellini concorse in robusta misura a edificare la fortuna e la fama dei suoi amici trattori. Diceva spesso: «I soldi non contano, è importante il credito. Il giorno in cui mi vedessi inseguito dal cameriere col conto in mano, allora sì che sarei veramente finito». Roberto Rossellini era nato bene, anzi benissimo. I suoi (nonno Zeffiro e papà Angiolo Giuseppe) erano costruttori di buon livello. Avevano partecipato con sicuro profitto allo sfascio post-unitario di Villa Ludovisi, tanto da potersi costruire, a due passi dalla neonata via Veneto, il palazzotto di famiglia. In quella casa agiata, crebbe Roberto, coi fratellini Marcella e Renzo, tutti accuditi dalla tata francese. E si spiega, perché anche la mamma, Elettra Bellan, era per metà francese. Alla Francia, i fratelli Rossellini, specialmente Renzo, il musicista, restarono sempre profondamente legati. Nel 1955, quando uscì «Viaggio in Italia», a salutarlo come un autentico capolavoro furono i critici francesi. Per fortuna, ben più autorevoli dei nostri che lo avevano già stroncato con astiosa sufficienza. Sta di fatto che già in quegli anni la critica nostrana, segnatamente quella di sinistra, che ha sempre dettato legge, aveva messo in liquidazione il regista romano. Ma torniamo al diciottenne Roberto che alla morte di nonno Zeffiro ottiene un cospicuo làscito. Sapete che fa il giovanotto? Si compra subito una Bugatti, diciamo una Porsche Carrera odierna, perché predilige le cose più costose, le "roses de la vie", secondo mamma Elettra. Una passione dalla quale non riuscirà mai a prescindere. Neppure durante gli inverni più duri. Del resto, la Bugatti gli è indispensabile se vuol condurre la sua vita di ragazzo-bene. Con gli Odescalchi, i Del Drago, i Ruspoli; coi "leoni al sole" delle incantate estati capresi. Racconta Francesco Caravita principe di Sirignano, "Pupetto" per gli amici, nel suo libro «Memorie di un uomo inutile», che quando si trattò di ordinarsi il guardaroba con cui avrebbe affrontato il matrimonio con la figlia del re della carne in scatola, americana naturalmente, a recarsi dal gran maestro tagliatore Domenico Caraceni, fu lui, Roberto, l'arbitro delle eleganze del gruppo. Sono gli anni d'oro, quelli in cui il futuro sommo regista pensa soltanto a divertirsi. Costi quel che costi. Al cinema ci va, anche spesso, perché la famiglia possiede due sale importanti a Roma, come il «Corso» («Etoile» fino a poco tempo fa, in piazza San Lorenzo in Lucina) e il «Barberini», ma per puro svago. John Ford e Buster Keaton i suoi preferiti. Ma questo trallallà è destinato a finire. Nel '31, quando Roberto ha venticinque anni, muore il padre,