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«Fast and furious» orientale, brave solo le auto

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DONNE e motori. Siamo al terzo «Fast and Furious». Il primo, diretto da Robert Cohen e interpretato da Vin Diesel, allora di moda, e da Paul Walker, si svolgeva in California ed era soprattutto incentrato, rumorosamente, su gare di velocità fra automobili. Il secondo, diretto dall'afroamericano John Singleton, incontrato in occasioni migliori, lo interpretava nuovamente Paul Walker e il tema ancora erano delle corse di automobili, non in California, questa volta, ma in Florida. Quello di oggi lo dirige un sinoamericano, Justin Lin, che dagli Stati Uniti non solo si sposta in Giappone ma, con quel «Tokyo Drift» nel titolo, tiene a informarsi subito che le gare con automobili non saranno più dedicate alla velocità ma a quel nuovo genere di corse, inventato appunto in Giappone, che induce i piloti, sui circuiti, a non frenare nelle curve ma anzi ad accellerare provocando quello sbandamento definito appunto «drift». Per presentarci questo tipo nuovo di sport, che adesso, dopo il Giappone si pratica anche negli Stati Uniti su strade tutte curve, Justin Lin si è valso di una storia che è quasi solo un pretesto per farci poi assistere a quelle gare mozzafiato. Fa arrivare in Giappone il figlio di un militare americano là in servizio, e ci mostra come tenti di redimersi da un passato burrascoso partecipando proprio a quelle gare di «drift», scontrandosi due volte con il giapponese campione di quello sport (e per giunta associato ai mafiosi della Yakusa) perché, a un certo momento, oltre a combattere contro di lui, si innamora della sua ragazza... Tanto per raccontare qualcosa, comunque, perché, in definitiva, il film (tra buoni, cattivi, scontri generazionali, amorazzi e amori) consiste soprattutto in quelle corse rischiosissime che, ad ogni curva, tendono a indurre lo spettatore a temere che vadano fuoristrada, e poi giù nei precipizi, sia le auto sia i loro spericolatissimi piloti. Per dare fiato a questo timore, e a volgerlo quasi in angoscia, Lin ce l'ha messa tutta, ricorrendo a montaggi sincopati con ritmi che vogliono serrare alla gola. Qualche volta riuscendoci. Il protagonista è Luca Blake, che avevamo incontrato ragazzino in «Lama tagliente» di Bill Bob Thornton. La sua auto, però, sembra più espressiva di lui.

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