Tredici paesi alla ricerca del loro comun denominatore attraverso il '900
E poi più avanti, a partire dal secondo dopoguerra e lungo gli anni Cinquanta-Sessanta, l'equilibrio mediterraneo sarà sconvolto, magari pure in modo elettrizzante, dal contatto con la nuova cultura statunitense, poi purtroppo trasformatosi in dominio globalizzato. Insomma, il '900 è forse il secolo in cui viene messo più a dura prova lo spirito culturale ed artistico mediterraneo, fatto di ordine, misura, luce e sensualità. Però è proprio dalla contaminazione, magari pure conflittuale, fra civiltà mediterranee e "oceaniche", per così dire, che sono nati frutti straordinariamente vitali e tutt'oggi validi. Date queste premesse va sottolineato l'impegno culturale e anche il coraggio intellettuale di un'impresa editoriale veramente imponente e pregevole, voluta dal Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, Emmanuele Francesco Maria Emanuele e concretizzatasi nel corposo volume intitolato «Arte e cultura del Mediterraneo nel XX secolo», ricco di ben novecento pagine, illustrato da centinaia di immagini e con oltre 1200 artisti citati, che sarà presentato oggi nel romano Palazzo Colonna. Per la prima volta pittura, scultura e architettura vengono analizzate nel loro sviluppo lungo il XX secolo in 13 paesi che si affacciano sul Mediterraneo, il mare che unisce e che fa dialogare al di là delle differenze e dei contrasti. E il volume nasce proprio dalla volontà etica di recuperare quell'idea originaria di Mediterraneo, da riproporre in tutta la sua forza unificante e pacificatrice a cospetto di tanti tragici conflitti e minacce incombenti, dai drammi balcanici alla guerra in Iraq e alla spada di Damocle dei fondamentalismi. Al volume hanno lavorato per tre anni diverse equipe di docenti universitari ed esperti internazionali, coordinati da Guglielmo de' Giovanni Centelles con una suddivisione della ricerca in tre grandi aree geografiche (oltre ad un contributo della Santa Sede): il Mediterraneo occidentale (Spagna, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo), il Mediterraneo orientale (Israele, Libano, Turchia, fino al Mar nero dell'Ucraina) e la costa Sud-Maghreb (Egitto, Libia, Tunisia). Al di là delle singole identità nazionali, ne viene fuori un dialogo continuo e spesso sorprendente fra culture diverse: l'architettura di Tel Aviv, la "città bianca" fondata nella prima metà del '900, rivela parecchi echi del razionalismo di matrice Bauhaus e dell'impronta creativa di Le Corbusier; la pittura tunisina dialoga con quella francese e tale rapporto si estende anche all'Italia grazie alla fondamentale e spesso dimenticata azione mediatrice di un artista come Antonio Corpora; il cubofuturismo ucraino mette le radici nella cultura d'avanguardia francese e italiana. Ma quale è stato lo spirito mediterraneo nell'arte del '900, capace di mutare (Picasso docet) con una velocità mai vista prima? Lasciamo la parola agli artisti. Per Matisse il Mediterraneo è il luogo dove «tutto brilla, tutto è colore, tutto è luce». Il nostro Fausto Melotti, alla metà degli anni Trenta, a nome dei suoi compagni della Galleria del Milione di Milano, proclamava: «Noi crediamo all'ordine della Grecia. Quando l'ultimo scalpello greco ha finito di risuonare, sul Mediterraneo è calata la notte. Lunga notte rischiarata dal quarto di luna (luce riflessa) del Rinascimento. Ora sul Mediterraneo noi sentiamo correre la brezza. Ed osiamo credere sia l'alba». Per Carlo Belli, autore di «Kn» ( definito da Kandinsky «il vangelo dell'arte astratta»), «lo spirito mediterraneo è fatto di luce e geometria». Ed è un peccato che nel pur pregevole capitolo dedicato al nostro paese sia stata trascurata la grande lezione d'equilibrio e di classicità