Negli Usa il guru Maharishi, che «catechizzò» i Beatles, torna sulla cresta dell'onda a 95 anni
Soprattutto quella dei musicisti ricchi e famosi. Il venerabile Maharishi ha oggi 95 anni, è sopravvissuto a due componenti dei Beatles, ma di appendere la sua saggia barba al chiodo non se ne parla neppure. Il sant'uomo vive tranquillo in Olanda, ma nel ricco Kansas, a Smith Center, fra Salina e Topeka, ha creato un suo importante centro di meditazione, anzi, la "capitale mondiale della pace", che prevede una spesa di 15 milioni di dollari e la costruzione di edifici, alloggi e centri di ritiro. Un allestimento all'interno del quale sono previste importanti sedi a New York, Minneapolis e Denver e che sicuramente coinvolgerà molti sponsor. Dopo la grande notorietà ottenuta con i Beatles - avventura che si concluse in modo alquanto ridicolo - il guru riparò negli Stati Uniti, dove già nel 1971 creò nell'Iowa un importante centro, già allora fortemente osteggiato dalle multi-religioni e dalle numerosissime sette dello stato. C'è da dire che il momento sembra propizio per occuparsi dei problemi dell'anima, anche se i casi registrati in queste ultime settimane, dimostrano che c'è sempre qualche furbacchione con un piede nel mondo del Dalai Lama e uno nelle strutture piramidali di Ikea. È certamente un caso lo straordinario successo di «Buddhist Monks», un disco che in Spagna è salito in vetta alla top ten. Percorsi spirituali, mantra per purificarsi, tangkha tibetani, ma anche un libertario clima pop in cui avvolgere il tutto. Senza contare che i mantra, proprio come struttura musicale, possono essere indicati come il primo esempio di tormentone, senza per questo mancare di rispetto ai mantra del Tara, quelli utilizzati in chiave pop dai monaci. Qualcuno ricorderà i monaci di Silos, che qualche anno fa arrivarono in hit parade con i loro canti gregoriani, ma stavolta siamo in presenza di una fusione di mantra sacri misti al linguaggio universale della musica, tecnicamente molto ben realizzati dalla comunità Sakya Tashi Ling. Mantra recitati dai membri della comunità e registrati nel monastero durante dieci ore di canto ininterrotto in un lungo sabato notte. «Il progetto - affermano i monaci - nasce con l'obiettivo e la speranza di rompere pensieri convenzionali che avvolgono il mondo del buddismo e di avvicinarlo a tutti attraverso il linguaggio della musica». In fondo l'idea del Maharishi era già questa nel lontano 1967. Contrariamente a quanto si crede, non fu George Harrison, senz'altro il più mistico dei quattro, ad avvicinare il guru. Fu sua moglie Patti Boyd, che già aveva aderito al movimento per la rigenerazione spirituale. Quando il Maharishi arrivò a Londra per tenere una conferenza prima di ritirarsi dalla sua crociata e di dedicarsi a una "vita di silenzio" in India, Patti pregò George di mettersi in contatto con gli altri per convincerli ad intervenire. L'incontro avvenne al Park Lane Hilton, vicino ad Hyde Park, quasi una predestinazione divina. In mezzo al piccolo pubblico di fedeli, che avevano pagato sette scellini e sei pence a testa, si presentarono i quattro Beatles, vestiti come aristocratici del flower power, ascoltavano un piccolo gentleman asiatico che indossava una tunica gialla e aveva una lunga barba grigia a punta. Con una voce acuta, frammezzata da allegre risate, descriveva un'esistenza al tempo stesso più invitante e più comoda di quella degli hippy. La "pace interna" che il Maharishi Mahesh Yogi prometteva, e che sembrava allettare così tanto quei quattro miliardari spossati dai loro stessi piaceri, poteva essere ottenuta anche nel periodo di tempo, pericolosamente breve, di cui disponevano per concentrarsi. Per rigenerarsi spiritualmente avevano bisogno di meditare soltanto mezz'ora al giorno. Nonostante il suo fiuto molto acuto per la pubblicità, il guru seppe della presenza dei Beatles solo alla fine della conf