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Bersani accusa: «Troppi cantautori barano»

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L'artista contro gli autori-fantasma delle case discografiche che compongono per i big

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«Mi sento come George di Robin Hood», dice Samule Bersani, deluso dalla furbizia e dall'inganno che contagiano la musica. Il suo nuovo disco, "L'aldiquà", è nato nel ritiro di Cattolica, la sua città, tra eroi da salvare e personaggi da stigmatizzare. "Lo scrutatore non votante", brano foto-tessera delle confessioni di uno scrutatore che ha deciso di non votare, sembra la risposta al "Signor Tentenna" di Camen Consoli. Personaggi che sono il prodotto della società in cui viviamo. Così "Sicuro precariato", canzone sulla «generazione di quelli che non hanno un posto fisso e neanche il cuore fisso». Dopo "Caramella smog", Bersani torna con altri ossimori in canzone: la sua interpretazione arguta delle contraddizioni e dei paradossi della realtà. Dedicato al giornalista Enzo Baldoni, al poeta dialettale Raffaello Baldini, «il De Andrè della poesia romagnola», e al cantastorie popolare Lino, detto "Baratle", il cd si avvale dei disegni di Dadara, l'artista olandese impegnato a bruciare statue nel deserto. Di quale contraddizione parla? «La proposta di candidatura con la certezza di non essere eletto, l'industria musicale contro la fantasia». Anche lei, come Fossati, è stanco di essere chiamato cantautore? «Amo questo termine: sognavo di fare il cantautore fin da bambino. Anche all'estero dicono "songwriter", parola che preferisco a "ghostwriter". C'è gente che appare in classifica con canzoni scritte da altri». Si spieghi meglio. «Esiste una categoria di autori stipendiati dalle case discografiche per scrivere, senza firmarle, molte delle canzoni che vanno a finire nei cd dei più importanti cantautori italiani, di cui non farò il nome». La definizione di "ermetico" la fa sempre arrabbiare? «Lo può dire solo chi non prova empatia nei confronti di quello che scrivo. Anche io non capivo le canzoni di Francesco De Gregori, ma ero felice di stare in quel labirinto». Cosa ne pensa di Music Farm? «Una boiata! Le inquadrature sulle basi midi e il pubblico che applaude a comando non sono un servizio alla musica italiana. E poi, siamo arrivati al paradosso che anche i giornalisti si fanno accompagnare dai manager e dagli uffici stampa». Nel brano "Il maratoneta" parla di dignità sportiva. «Per uno juventino anni '70 come me quel che accade è ancor più doloroso. Restituire lo scudetto sarebbe degno dello stile Juventus alla Boniperti. Non ho mai capito perché a Moggi veniva riconosciuta con simpatia la falsità». A quando il tour? «Non prima di ottobre. Ma ci sono le due tappe del Festivalbar, sempre che non mi colga il blocco da palco: è da tanto che non suono in pubblico». Porterà sempre con sé il leggìo? «Sì, di alcuni brani leggerò le parole. Ho provato, ma senza proprio non ce la faccio».

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