«Bubble», Soderbergh reinventa il thriller
UNA cittadina dell'Ohio, grigia in un mondo grigio. Una piccola fabbrica di bambole, molto artigianale. Ci lavorano una donna grassa, Martha, e fra gli altri un giovanotto magro, Kyle. La prima, zitella dall'aria paciosa, vive con un padre anziano e paralitico. Il secondo, con una madre ancora giovane. Si aggiunge loro una ragazza madre, Rose, dal passato dubbio, desiderosa di evasione e di soldi. Kyle, però, pur con molta timidezza, se ne sente attratto e un venerdì sera esce con lei. Ci penserà Martha a custodire la bambina di Rose durante la sua assenza. Lo fa di buon grado ma, da alcuni dettagli (certe attenzioni, dei regali) si comincia a intuire che, a sua volta, si interessi a Kyle, sia pure senza svelarsi. Quando Rose torna a casa, Martha, prima di andarsene, assiste all'irruzione dell'ex amante di Rose, padre della bambina, che chiede soldi e le rinfaccia di essere stato derubato da lei. Poi nient'altro. Ma il mattino dopo Rose viene trovata strangolata e un poliziotto si vede costretto a sospettare di tutti quelli che l'avevano conosciuta e frequentata, dall'ex amante, con cui aveva avuto un'alterco, a Kyle, con cui era uscita, a Martha, l'ultima ad averla vista viva. Tutti ovviamente negano, a cominciare da Martha, nonostante certi indizi a suo carico... All'insegna del non detto. Con grandissimo tatto. Il merito è di Steven Soderbergh, autore del testo e della regia, con molte più intuizioni poetiche, pur con toni dimessi, di quanto non avesse dato prova di recente in «Ocean's Twelve», nonostante, anche lì, il cinema mostrasse di saperlo egregiamente dominare. In un'altra chiave, però. Qui, appunto, c'è il non detto. Nessun personaggio chiarisce mai le proprie intenzioni né i rapporti che sembra stringere con gli altri. Tutto, in apparenza, è cronaca: nei fatti, nei gesti, nelle indicazioni lievi con cui si suggeriscono i caratteri. Fino al colpo di scena finale che però - altro merito - sembra più scaturire dall'incoscio che non da una rivelazione precisa. Con il commento di una chitarra che, in tutto quel voluto grigiore, echeggia ogni tanto in voluto contrasto, ma senza contraddire niente. In linea con la recitazione di tre attori non professionisti tenuto ciascuno, nei ruoli principali, in equilibrio fra l'allusione e un realismo più che questo addirittura silenzioso. Un piccolo, grande film che si ricorderà anche perché, per iniziativa del suo autore, è il primo, nella storia del cinema, ad essere uscito nelle sale e, contemporaneamente, in Dvd e sulla pay tv. Forse aprendo una strada.