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Sibilla d'Altavilla sposa scomoda

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La tragica vicenda della contessa pugliese al tempo delle Crociate

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Questa capacità va riconosciuta a Dora Liguori, che in calce al libro «Sibilla d'Altavilla, Contessa di Conversano, Duchessa di Normandia» (Adriatica Editrice, Pagg. 369, 15 euro), avverte «Per la parte storica il libro fa riferimento alle ricerche ed alle notizie attualmente disponibili. Per le "emozioni", invece, si affida a processi induttivi». L'epoca, il Medioevo; il momento,la Prima Crociata (1096-99) bandita da Urbano II. Vi prese parte, meritandosi l'appellativo di «cavaliere di Cristo», anche Roberto II, duca di Normandia. I destini di Roberto e di Sibilla, nata a Conversano in Puglia, ma di origini normanne, si incrociano appunto al ritorno del duca dalla Terra Santa. Bella, colta, «moderna», la diciannovenne Sibilla era una sposa ideale. Ma a questa promettente unione faceva riscontro una situazione familiare dello sposo torbida e infida. I tratti del duca descritti da Dora Liguori e la realtà con la quale doveva fare i conti, corrispondono esattamente a quanto scrive lo storico inglese Antony Bridge: «Roberto di Normandia, figlio maggiore di Guglielmo il Conquistatore, era, in modo abbastanza insolito, uomo garbato, non colpiva nell'aspetto ed era nella prima mezz'età. Dalla morte del padre era stato a momenti alterni in guerra contro il fratello Guglielmo il Rosso. Non poteva essere biasimato per questi episodi, visto che il fratello più giovane aveva l'abitudine di invadergli il ducato, e questo Roberto non l'accettava». Non migliore era l'altro fratello, Enrico: la posta in gioco il trono d'Inghilterra. Già il fatto che Roberto fosse tornato dalla Terra Santa, cinto di gloria e con qualche ricchezza, aveva sconvolto i calcoli di chi era rimasto a casa. In parole povere, Enrico aveva sperato che il fratello non tornasse affatto, infilzato da qualche ardito saraceno sotto le mura di Gerusalemme. La presenza ora di Sibilla - di carattere più fermo del consorte - rappresentava una ulteriore minaccia, tanto più che alla giovane duchessa venivano riconosciute elette capacità politiche, qualità che determinò quasi sicuramente la sua condanna. «Se Sibilla era la forza del duca Roberto, ergo per disarmarlo a dovere, occorreva togliere di torno la splendida donna». detto, fatto. È controverso se la duchessa di Normandia morì per le conseguenze di un parto, oppure se si trattò di «omicidio di Stato». Certo, troppi interessi dinastici erano in gioco, per non pensare al peggio. Un'esistenza bruciata in fretta, quella di Sibilla, che lasciò una preziosa, riconosciuta eredità (non per niente venne sepolta nella cattedrale di Rouen): una serie di movimenti culturali - in un'epoca dominata dall'analfabetismo - che diedero vita alla prima università, quella di Parigi. La morte di Sibilla schiantò Roberto, che non si riprese più. «A Tinchebray, il 20 settembre 1106, il duca reso debole dalla sofferenza, non sarà in grado di affrontare la sua ultima sfida contro il fratello Enrico». Lo sfortunato duca, tenuto prigioniero per trentadue anni nel castello di Cardiff, nel Galles, non tentò mai la fuga: le sue catene - come scrive Dora Liguori - si chiamavano ormai «male di vivere».

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