Nel suo stile di vita decadente c'erano analogie con quello di D'Annunzio Per Moravia era «un conservatore» Si fece decapitare in diretta televisiva
Lo scrittore era venuto a prenderlo in albergo, a Tokyo, con una vistosa auto americana. A guidarla era la moglie. Mishima lo aveva portato a casa sua: una villa in stile liberty. In giardino, la statua di una donna nuda. Sulla soglia, Moravia accenna a togliersi le scarpe, secondo l'uso nipponico. «No, non importa», gli fa Mishima: questa è una casa in stile occidentale, ci si entra con la scarpe ai piedi.Subito un bel colpo d'occhio: un tappeto rosso serpeggia sugli scalini di marmo bianco. Lo studio, piccolo, è ingombro di carte. Alle pareti, ritratti, fotografie, dipinti, schizzi. C'è un certo profumo di decadentismo dannunziano. Come il Vate, anche Mishima è piccolo di statura. Corpo scolpito, però, ed aria marziale. Il volto è un ovale perfetto. I lineamenti sono regolari ed hanno una certa fissità. Vien fatto di pensare a una maschera. Ma, all'improvviso, una risata violenta le infonde un dinamismo selvaggio e la trasforma. Furore e impassibilità insieme. Il ritratto di un samurai. Un uomo in divisa. Fiero e sprezzante. Sta per compiere il suicidio rituale. È l'immagine che vediamo sulla copertina del secondo Meridiano Mondadori, dedicato ai romanzi e ai racconti che Mishima scrisse tra il 1962 e il 1970 (a cura di Maria Teresa Orsi, pp. 1854, euro 55). Forse, Moravia non lo conosceva tanto bene. Forse, non immaginava che quello scrittore vanitoso fino al narcisismo non aveva in testa il Nobel, ma il seppuku. Sventramento e decapitazione, in diretta televisiva, a opera del discepolo Morita, giovane promessa della ultranazionalista Associazione degli Scudi, a sua volta decapitato da un altro discepolo. Il tutto, il 25 novembre 1970, al quartier generale della guarnigione militare di Ichigaya: breve arringa agli ottocento uomini adunati nel sacro nome dell'identità nipponica, salva di sberleffi e di insulti, commiato dall'imperatore con un sonante «Tenno heika banzai», e via col «seppuku», tra soldati che schiamazzano e giornalisti e operatori televisivi che confezionano lo scoop. Moravia scrive di Mishima nella prefazione a «Morte di mezza estate» (Longanesi, 1971), presentandolo come un «conservatore decadente». In sintonia, appunto, con d'Annunzio. E con altri esteti come Huysmans e Barrès. Come d'Annunzio — ma anche come il Malraux degli anni Trenta e il Norman Mailer dei Settanta — Mishima sa anche fare opera di autopromozione. Un intellettuale moderno è quello che sa vendere i propri libri e la propria immagine. E Mishima è anche «moderno». Con contraddizioni e lacerazioni, nevrosi e schizofrenie tipiche di chi detesta la modernità e non sa rinunciarvi, di chi insegue miti e riti della Tradizione, ma anche foto su riviste patinate e costose, e inviti nelle case che contano. Mishima è, insieme, tutti questi «volti». Un personaggio che ci tiene a colpire, a scandalizzare. «Attratto sia dalla bellezza che dalla conoscenza,predilige la prima», ha scritto Maria Teresa Orsi nel saggio introduttivo al primo Meridiano, parlando di romanzi come «Confessioni di una maschera», «Colori proibiti», «Il padiglione d'oro». Ma anche leggendo le ultime opere («Il sapore della gloria», «Neve di primavera», «Il tempio dell'alba»), il giudizio non può cambiare. Siamo di fronte ad un uomo che crede che il corpo abbia un suo spirito e che la sapienza sia anche un viaggio nella carne e nell'azione, prima di giungere alla contemplazione. In Mishima, il maschile e il femminile si incontrano, l'ambiguità sessuale «corrisponde» all'inquietudine spirituale, la seduzione della carne sfida continuamente lo spirito, tutti i possibili dèmoni cari a una certa cultura occidentale sono invitati a nozze. Ed è fuor di dubbio che alcuni contrassegni dell'irrazionalismo decadente — mistica dell'individuo e della comunità, mito della giovinezza, volontà di potenza, ebbrezza vitalistica e mortuaria, culto delle tradizioni e degli eroi — abbiano spesso un approdo «fascista». Come in Mishima. Yukio è cresciuto in mezzo a troppe femmine e deve liberarsi dai co