L'appunto
"Dolce! Giunge senza rumore, come gli esseri soavi che temono di far male". E giunge così Bruno Grassi, senza rumore. Noi ci affacciamo alla finestra del suo mondo, con la voglia di abitarne quel silenzio luminoso. E lui scende su Roma, pizzicandola sofficemente, per non farle male. È casta la neve che gocciola dal suo pennello. E più la guardiamo, più sembra andare verso il cielo. "Così scende la luna, così scendono i sogni". Forse non scende, forse sta salendo. Sale sopra di lei il nostro sguardo. Che ha indossato le ali dell'infanzia, che ha imparato a percorrere le scale della gravità, che sente lieve il davanzale, come un gatto volante. Roma ci osserva attraverso la neve, cercando i nostri occhi. Ci dà la scossa, sprigionando un'elettricità immateriale. Pudica, eburnea, pura come il volto di una vergine. Teatro splendente di slanci quieti, di albe notturne, di una giovinezza che c'è da sempre. Piazza del popolo, il Pantheon, piazza Navona sono sepolcri del ricordo. Piccini e monumentali. Sono deserti, ma accessibili. Non sono le rovine di un'innocenza che abbiamo perduto, ma l'epifania di una sacralità che ci appartiene ancora. Siamo così appiccicati a quella finestra invisibile, che temiamo di poterla appannare con il nostro respiro, senza accorgerci che sono i nostri occhi ad essere di vetro. Vorremmo scivolare dall'altra parte, e rotolarci in quel candore morbido e protettivo. Per accarezzarlo e per essere accarezzati. Ma la mano di Grassi è come la neve di Gabriela Mistral: "Ha così dolci dita, così lievi e sottili, che sfiorano senza toccare".