«Esalto la felicità con forme esuberanti»
C'è chi ha chiamato in causa la psicanalisi, ma non si può mettere in analisi un quadro. Sì, forse, ci sono delle ragioni psicologiche nella mia pittura. Quello che posso dire è che la mia pittura nasce dalla mia ammirazione per le sculture e i dipinti di artisti del passato. Mi piace incorporare nei miei dipinti elementi di altri pittori, come Pier Della Francesca. Nutro un grande amore per la pittura italiana del Trecento e del Quattrocento: Masaccio, Giotto, appunto, Pier Della Francesca. Avevo 20 anni, nel '52, quando sono stato a Firenze e ho scoperto la pittura italiana con i suoi volumi a tutto tondo, quel suo senso di pieno che rappresenta l'esaltazione dell'esistenza a ogni costo: ne sono rimasto incantato, ispirato e, credo, influenzato per sempre». Così, il grande maestro colombiano Fernando Botero ha fatto la sua confessione artistica, ieri a Milano, in occasione della presentazione della sua nuova mostra ospitata alla Galleria Tega. Da oggi e fino al 15 luglio, lo spazio privato milanese espone oli, sculture, acquarelli e disegni di Botero: 25 opere degli ultimi anni che caratterizzano l'universo pittorico del maestro colombiano. Naturalmente, non mancano quelle figure, in particolare femminili, caratterizzate dalle forme abbondanti che costituiscono una sua peculiarità. «Credo molto nel volume, in questa sensualità che nella pittura suscita piacere allo sguardo — ha commentato Botero che da tempo ha scelto di vivere a Pietrasanta —. Un quadro è un ritmo di volumi colorati dove l'immagine assume il ruolo di pretesto». I personaggi dei suoi dipinti sono uomini e donne, della campagna e della città, che esprimono gesti e attitudini della gente comune, oppure sono figure surreali, come la suora distesa in un prato. Ma tutti comunicano un senso di disagio collettivo e guardano fuori dal quadro, come se volessero interrogare il visitatore, chiedere spiegazioni. «Il mio lavoro è parrocchiale e propone un tema locale — ha aggiunto il maestro —. Ma la sensibilità è universale e, perciò, in tutto il mondo, in Asia, America, Europa, i visitatori si identificano con quel tema locale. A trasmetterne il senso sono gli elementi della pittura. Faccio pittura tutti i giorni, da 58 anni, e la presenza del cuore mi ha marcato fin da quando avevo 19 anni e mi uscì fuori per la prima volta». I suoi paesaggi non sembrano contorni ma essenza dei suoi quadri: «Amo Paolo Uccello — ha spiegato Botero — e mi sento appartenente a quella scuola di artisti, soprattutto della pittura italiana, che credono nell'arte come esaltazione di momenti di felicità. Oggi c'è lo choc della qualità: la scelta è di fare scandalo. E questo mi separa dagli artisti contemporanei. Credo nella possibilità di un'esistenza parallela, mentale, in un rifugio creato dagli artisti. Invece, oggi, l'arte ha preso una brutta direzione. Si cerca di combinare la pittura con il video: non è possibile, perché la pittura ha bisogno di una superficie piatta. La mia speranza è che si possa sempre coltivare la pittura. L'atmosfera magica della mia terra si presta a creare il mito. Per un pittore americano o europeo è più difficile crearlo. I nostri sono miti che passano per la verità e questo aiuta l'artista anche a mentire più facilmente. In Colombia cominciai a dipingere con gli acquarelli, ispirandomi ai muralisti messicani degli anni '40, come Rivera, e alla straordinaria tematica latino-americana che hanno elevato ad arte soggetti considerati inferiori, come la classe sociale media. Quella esperienza — ha concluso l'artista — dava fastidio, faceva arrabbiare, perché si proponeva come difesa dei diritti umani. Da lì viene la mia mostra di 80 dipinti sui detenuti iracheni esposta a Roma, che a giugno sarà ad Atene, a ottobre a New York e, poi, in tutto il mondo».