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«I nostri film? Troppo commerciali»

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Il neo regista accusa le commedie facili e sogna di lavorare in Canada

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La storia è quella di Stella (Emanuela Barilozzi), pronta a partire per un viaggio che la porterà lontano dal padre e dal dolore per la morte della madre. Iuri (Elio Germano) è suo fratello, legato a lei da un amore sconfinato e quasi incestuoso. Durante una festa Stella e Iuri incontrano Bruno (Luca Lionello). I tre vivono un'avventura, tra marijuana, corse in scooter e rave party, fino all'arrivo della polizia, con la fuga dei tre nelle campagne verso un finale tragico. De Rienzo, come è nata l'idea del film? «"Sangue" è il film della vita, è il primo grande amore, quello eterno, quello che sconvolge e rimane. Questo è ciò che racconta. È la carne del mio pensiero. Tutte le sue ingenuità sono le mie e i suoi difetti i miei. Dalla macchina da presa al montaggio è tutta colpa mia e dei libri che ho letto, dei quadri che amo, degli uomini che hanno lavorato a fianco a me, coautori tutti del film. È un film in tre atti: dodici ore di vita vissuta, raccontate in mezz'ora dalla protagonista, Stella, che commenta, giudica, sceglie cosa raccontare e lo fa dolcemente. Nel secondo atto invece tutto avviene in tempo reale. La macchina da presa diventa carnale, fisiologica, crudele come vuole Artaud, ridicolizzante nel mostrare senza veli il terrore della vita di Iuri. Paura che Iuri subisce e adora. Il terzo atto è quello politico, grottesco, italiano, quello finto o di fiction, è in realtà il più vero di tutti. «Sangue» è stato girato in quattro settimane, in una fabbrica di Torino, con un budget ridotto: attori e tecnici si sono accontentati di paghe da minimo sindacale e una compartecipazione». Cosa pensa del nuovo cinema italiano? «Non mi piace, è negativo e non consente circuiti alternativi per i giovani o per coloro che vivono in maniera più individualista. Da Verdone e Muccino fino a «Il Caimano» di Moretti, che peraltro ancora non ho visto, il cinema italiano è troppo commerciale o troppo politicizzato. Occorre trovare modi diversi per promuovere il film. Noi ci siamo inventati l'idea del «trousse-crossing», cioè lasciare in diversi luoghi della città una piccola trousse contenente alcuni oggetti che raccontano la storia di un film. E poi andremo a presentarlo nei centri sociali. Spero che il nuovo governo offra possibilità più ampie: io ho lanciato l'idea di un tetto per la distribuzione, di massimo 100 copie per tutti i film. È assurdo farne uscire uno in 600 copie che satura il mercato ed altri film invece in copie esigue. Realizzare pellicole in Dvd, come stanno facendo Infascelli e Puglielli, perché magari non riescono ad imporsi nelle sale, è una sconfitta per il cinema italiano». Quali sono i suoi prossimi progetti? «Sarò costretto a lavorare all'estero per realizzare il mio prossimo film. Andrò in Canada, dove le piccole produzioni possono realizzare opere, con delle film commission serie in grado di offrire soldi e attrezzature». Cosa si aspetta da questo suo esordio alla regia? «Mi aspetto molto, anche se so che la distribuzione è insufficiente e il mio film non sarà presente in tutte le città italiane. Questa opera prima è un pezzo della mia vita, delle mie esperienze che ho condiviso con tante altre persone. È un film che ho realizzato con il cuore e spero proprio che queste mie emozioni vengano trasmesse agli spettatori con le immagini che ho realizzato. Soprattutto perché la magia del cinema è proprio negli occhi di chi lo guarda».

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