Al re del pulp il film sulla vita di Hendrix
Dopo Ray Charles e Johnny Cash arriverà sullo schermo l'incredibile vicenda umana e professionale di Jimi Hendrix, il Picasso della chitarra elettrica, lo stilista più prestigioso mai espresso da questo genere di musica. Ma stavolta il film avrà anche un regista di culto, Quentin Tarantino, l'italo-americano che ha sempre mostrato una particolare attenzione nei confronti delle colonne sonore dei suoi film. Sembra che l'idea di Tarantino sia appunto quella di ricostruire la vita di Hendrix sulla base di testimonianze di amici e musicisti, soprattutto di quelli che fino ad oggi hanno preferito tacere, ispirandosi a quanto fatto da Oliver Stone per «The Doors», la ricostruzione della leggenda di Jim Morrison, altro mito del rock americano scomparso prematuramente. Secondo le prime indiscrezioni per il ruolo di protagonista la scelta del regista sarebbe caduta su Lenny Kravitz, cantante e chitarrista altrettanto smodato, anche se stilisticamente molto lontano dalla rockstar di Seattle. Per firmare il contratto e soprattutto per ottenere le necessarie assicurazioni, Tarantino ha dovuto raggiungere un accordo con Leon Hendrix, il fratello, e con Elle Von Lear, che gestisce l'aspetto legale del marchio legato al musicista. L'occasione è ghiotta, non tanto per fare luce sul talento di questo prodigioso chitarrista quanto sulla metodicità della sua autodistruzione, che culminò con la morte, avvenuta il 18 settembre del 1970. In pochi anni di carriera - sei o sette se si vuole tener conto del periodo trascorso con Little Richard e Curtis Knight, i suoi due maestri, ma soltanto quattro prendendo in considerazione la sua attività di leader - Jimi Hendrix ha cambiato radicalmente la faccia del rock, che dopo di lui non è stato più lo stesso. Partendo da robuste radici afro-americane, con un sacro rispetto per il blues e il rock and roll, quest'icona tradita dello show-business ha attraversato un periodo di straordinaria creatività toccando le vette più alte della musica giovane. Psichedelia, improvvisazione, gusto per la jam session (praticamente scomparsa nel rock), tutto in lui divenne talento bruciato e velocità assoluta, a cominciare dai suoi mitici assoli con l'immancabile Fender Stratocaster. Timido, insicuro, autentico angelo satanico, Jimi è stato la bandiera di una inquietante era psichedelica che grazie a lui coniugava James Bond con Martin Luther King, con l'aggravante di far ingelosire tutti i grandi nomi della musica che c'erano già prima di lui, da John Lennon a Miles Davis, da Eric Clapton a Mick Jagger. Monterey, Wight e Woodstock i tre mitici festival pop all'interno dei quali si espresse al massimo delle sue possibilità, creando un live-act che difficilmente verrà dimenticato. Una sola apparizione romana, al Teatro Brancaccio nel maggio del 1968, ed anche quella non sarà presto dimenticata da chi ebbe la fortuna di esserci. Pochissimi i dischi ufficiali: «Are You Experienced?» e «Axis: Bold as Love», entrambi del 1967, il doppio «Electric Ladyland» del 1968, «Band of Gypsys» del 1970 e «The Cry of Love» dello stesso anno, pubblicato subito dopo la sua morte. In mezzo a questa scarna discografia ufficiale, centinaia e centinaia di album prodotti in tutto il mondo, pochissimi quelli raccomandabili, e un mare sterminato di paccottiglia. Questa la storia, il mito, la leggenda. A Quentin Tarantino il compito di portare sullo schermo quella creatura esaltante, quel demone con l'aureola nera che sul palco-altare sacrificava la sua chitarra-totem, possibilmente restituendoci l'uomo e la sua musica in tutta la loro magmatica purezza. Se Tarantino, magari per ragioni di box-office, dovesse soffermarsi solo sull'asse musica-droga-sesso-solitudine, ne risentirebbe il quadro generale. Rimangono misteriose le sue ultime ore, quando venne ricoverato in condizioni gravissime all'ospedale St. Mary Abbotts di Londra, dove morì soffocato. In realtà si chiarì che il decesso era dovuto ad una overdose di stupefac