Visto dal critico

UNA storia vera, su una persona vera ancora in vita, il ballerino americano di origini francesi, Pierre Dulaine, così innamorato della danza che a un certo momento della sua carriera scelse di andare a insegnarla nelle scuole. Per raccontarla, la regista esordiente Liz Friedlander, nota negli ambienti dei videoclip musicali, ha seguito gli schemi soliti di questo tipo di film. Intanto l'inizio. Dulaine non va a insegnare in una scuola borghese dove, a priori, avrebbe avuto successo, ma ne sceglie una, in un quartiere tra i più emarginati di New York, frequentata soprattutto da ispanici e da afroamericani, in genere piuttosto corpulenti e tarchiati, reduci, spesso, da scontri con la giustizia. Per loro la musica è solo quella colorata e fracassona che, se la ballano, la ballano in strada, con ritmi del tutto personali. Comincia così, secondo momento, il tentativo di far capire a quei riottosi, cui la presenza di Dullaine ha subito suscitato fastidio, che si può ballare anche in un altro modo, con il tango, ad esempio, o il fox-trot. Naturalmente non è facile, anche perché quei pachidermi non hanno un solo movimento aggraziato, si azzuffano tra loro o, al minimo, si dileggiano. Poi, però, soprattutto grazie ad alcune dimostrazioni pratiche che Dullaine, da solo o in coppia, fornisce loro, il clima cambia (come in tutti i film americani di ispirazione scolastica, dalla «Giungla della lavagna» in poi) e Dullaine avrà la soddisfazione di far partecipare i suoi allievi addirittura ad una delle più famose gare di ballo di New York dove avranno la meglio non solo ballando il valzer tutti ripuliti ma inserendovi anche i ritmi, a loro più consoni, del rap e dell'hip-hop... Tutto in gruppo, naturalmente, tra le pieghe di un'azione che il meglio di sé (poco a dire il vero) lo dà quando privilegia la coralità. Attorno c'è qualche caso singolo, il ragazzo più discolo degli altri che fatica a uscire da giri loschi in cui è invischiato, uno dei dirigenti della scuola che fa riunioni contro Dullaine per dire che quei balli sono soltanto una perdita di tempo, ma si sente che sono solo labili pretesti per poter poi dare spazio alle coreografie esibite quasi ad ogni passo. Senza dare comunque allo spettatore grandi soddisfazioni estetiche perché si tratta pur sempre di esercitazioni in più momenti dilettantesche. Un dato curioso. Nei panni di Dullaine c'è addirittura Antonio Banderas che, pur senza imitare John Travolta, compie vari passi di danza e senza, a quanto sembra, ricorrere a controfigure. Convinceva di più, però, quando ballava in «Evita».