I giovani non sanno crescere: colpa del mondo che li respinge. E dei genitori che se li tengono
Così Sartre, e il suo era il monito di un esistenzialista, consapevole del carattere precario dell'esistenza ma anche del valore specifico di ciascuna vita umana. La precarietà è il segno distintivo di chi è giovane oggi. I ragazzi, dai vent'anni in poi, ci si scontrano ma anche vi si abituano. Abbiamo negli occhi la rabbia dei francesi che non hanno fatto passare le norme sul primo impiego di monsieur de Villepin. Ma soprattutto i crucci degli italiani che potrebbero forse passare dalla padella di una legge Biagi che un'occupazione, pur transitoria, riesce a garantire alla brace di un lavoro che non arriva mai. Poche certezze, e dunque poca voglia di scegliere. Eccola la generazione degli indecisi e degli eterni adolescenti. Ci sono due libri che se ne occupano, cartina di tornasole di una condizione generazionale non nuova, ma sempre più allargata, tanto che la vita ora si comincia a prenderla per le corna ben oltre i trent'anni. Spopola nelle librerie d'oltreoceano un romanzo che ora arriva da noi, «Indecisione», di Benjamin Kunkel. Dwight B. Wilderming, il protagonista, che la critica degli States ha paragonato al «Giovane Holden» di Salinger, omette di scegliere perfino come il barista debba riempirgli il sandwich. Irresoluto con la «i» maiuscola, insomma. Ma il lento cammino alla ricerca di sé è il fulcro anche di un altro volume, stavolta un saggio, appena pubblicato nel nostro Paese da Mondadori: «Preparati, la vita comincia», scritto dal pediatra americano Mel Levine, che nel sottotitolo promette «come aiutare un adolescente a trovare se stesso e diventare adulto». «La vita aggredisce i ragazzi - sottolinea Levine - Se non riusciremo ad applicare strategie nuove per aiutarli a prepararsi, saranno costretti a prendere quello che possono. Dovranno accontentarsi di molto meno di quanto non meritino». Intanto, è significativo che un pediatra parli di ventenni e oltre. «Ricevo spesso telefonate di genitori disperati che mi chiedono di visitare il loro figlio perché ha problemi di adattamento e di apprendimento - spiega Levine - Vengo a sapere che il ragazzo è un ventottenne. Osservo che io, da pediatra, non esamino pazienti sopra i diciassette anni. Allora dall'altro capo del filo arriva la domanda straziante: e allora, chi può visitarlo?». Già, chi si prende cura dei giovani adulti, incapaci di pensare a lungo termine, dubbiosi nella scelta della facoltà o del mestiere, avvolti nella nebbia quando si tratta di individuare la propria vocazione? «La scuola insegna come imparare, la famiglia come lavorare», osserva Levine. Seduti la sera a cena con il padre che racconta quant'è stata problematica la giornata in ufficio, il giovane capisce che è normale dover affrontare ogni giorno uno scoglio. «Ma dai genitori non apprendono la fantasia, il modo di prendere con levità la vita», ribatte la psicologa Enza Ferri. «I giovani sono molto generosi- continua - il lavoro non è un limite. Però sono convinti che padri e madri non sappiano ridere. Il mondo adulto non sogna. Meglio, non fornisce modelli di sogno in qualche modo concretizzabili, normali. Sono sogni usa e getta, legati alla fortuna, al culto dell'esteriorità, all'effimero, piuttosto che al coraggio. Si crede solo in sogni estremi: diventare una star, avere un corpo perfetto, toccare il mito». Levine le fa eco: «Il mondo è pieno di persone di ogni età che si mettono in posa e invece di vivere la propria vita si limitano a raccontarla». E allora, anche i sentimenti sono di plastica: «Non sono più il vento delle vele dei sogni - spiega la Ferri - si indeboliscono e non muovono più nulla. Il sesso si stacca dalla affettività, così nella coppia manca la tenerezza. Con il parter non si elabora un progetto di coppia, invece ognuno chiede all'altro di fare il genitore. È il risvolto di bisogni infantili non risolti. E se si cerca un lavoro, ci si accorge di non essere più al centro dell'attenzione, come avveniva in famiglia, ma ai margini del nuovo gruppo nel quale si deve agire, la società». Fino a qua