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La crisi dovuta a una critica ottusa che l'ha declassata a genere di serie B

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Grazie alle pellicole di grandi registi come Fellini, Monicelli, Scola, Germi, Steno, Dino Risi, il popolo italiano è divenuto più consapevole della propria identità sorridendo dei propri difetti». È l'opinione di Enrico Vanzina che, con il fratello Carlo, forma uno dei binomi più accreditati dello spettacolo, attualmente sceneggiatori per Canale 5 con «Un ciclone in famiglia». Custodi e difensori della commedia italiana intesa come specchio delle metamorfosi dell'italico costume, i Vanzina, con Carlo anche regista, si preparano ad una vera offensiva contro i detrattori del genere. Enrico in particolare, ne spiega i motivi, auspicandone una rivalutazione tra le giovani generazioni di registi grazie alla quale potrà avvenire il rilancio del cinema italiano. Quali fattori hanno fatto assurgere la commedia cinematografica a tale importanza sociale? «L'identificazione del popolo italiano nella rappresentazione comica dei propri vizi e difetti risale alla commedia plautiana ed è avallata dalla constatazione che, a differenza di altre nazioni impegnate in analisi sociologiche, noi amiamo ridere delle nostre debolezze e lati buffi. Per la capacità di svelare il lato ridicolo, la commedia ha una funzione sociale grazie alla quale gli italiani hanno imparato a conoscersi e sono cambiati, diventando più consapevoli. Un film come "Divorzio all'italiana" con l'accusa ad una società retrograda e maschilista ha fatto progredire notevolmente l'Italietta presa di mira. Così anche i film di Alberto Sordi». La commedia può avere anche implicazioni politiche? «Certo. "Il portaborse" ad esempio, ha svelato le nefandezze di uno specifico mondo politico». Perché il genere è decaduto negli ultimi decenni? «Colpa di una critica ottusa e politicizzata di regime e di controregime che ha bollato la commedia come genere di serie B. Se ne è così inibita la crescita tra le giovani generazioni di registi svilite da anni di insulti. La conseguenza è che tutti oggi vogliono diventare degli Almodovar o dei Muccino. Ma di Gabriele Muccino ne nascono pochi. Bisogna capire che se si trascura la commedia, il cinema italiano mostra inevitabilmente tutta la sua piccolezza». Quali rimedi propone per il rilancio del genere? «Innanzitutto corsi di cinematografia nelle scuole ed il coraggio di investire in prodotti comici. Appena ci sarà un primo successo giovanile nella commedia, appena un nuovo Verdone verrà alla ribalta, il filone si rigenererà». In quest'ottica bisogna inquadrare il vostro tentativo di portare la commedia nella fiction televisiva? «Molti anni fa, avendo intuito che il cinema limitava la propria produzione a vantaggio della Tv avevo fondato l'Associazione Produttori Televisivi. Certo la fiction oggi è di gran moda, ma è claustrofobica, troppo confinata negli stessi luoghi comuni, nel medesimo modo di raccontare che omologa le storie. Bisogna avere il coraggio di concepire una fiction come un film, utilizzando maggiormente gli esterni». C'è un attore con cui i Vanzina vorrebbero lavorare? «Proprio Carlo Verdone, attore e regista straordinario, oramai divenuto l'emblema di un modo di essere tutto italiano». E tra i giovani attori e registi, quali ritiene i più meritevoli? «Gabriele Muccino ha uno stile che ammiro. Tra gli attori apprezzo Elio Germano, poco noto ma di grande avvenire. C'è un gran fermento di attrici fra i 30 ed i 40 anni. Ma io sono ancora in attesa della nuova Monica Vitti. Tra le giovani registe apprezzo Cristina Comencini che, mi auguro, si avvicini presto al mondo della commedia italiana». Ritiene sia stata una scelta giusta la separazione della coppia Boldi-De Sica? «È stato un errore dividersi, una pausa artistica tra loro sarebbe stata sufficiente. Sono due attori nati insieme che io e mio fratello stimiamo alla medesima maniera. Al punto che il nostro film di Natale è con Boldi ma sarebbe stato perfetto anche per D

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