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Indagine su un terrorista al di sopra di ogni sospetto

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È questa la descrizione che dà di sè Arioua Kamel, algerino, 36 anni, detenuto in attesa di giudizio per terrorismo internazionale. In un libro, colloqui nel carcere di San Vittore con il suo difensore, il penalista Luca Bauccio, Kamel non somiglia neppure un po' all'immagine del figlio disperato di uno dei tanti campi profughi trasformato in un fanatico con cintura o zainetto esplosivi dai signori del terrore. Eppure Arioua Kamel è considerato un personaggio rilevante del fondamentalismo islamico, arrestato a Milano è inserito nella lista dei terroristi più pericolosi della Comunità europea. Kamel si racconta come un intellettuale che vuole insegnare un Islam che è amore, solidarietà, giustizia e tolleranza. È un uomo che ama la conoscenza, i libri e anche in carcere continua a leggere di tutto, dalla Fallaci a Lapierre, che dice di ammirare Andreotti, Spadolini e madre Teresa di Calcutta. Il suo legale, nella prefazione, è prudente, elenca le accuse contro Kamel e spiega che aveva iniziato i colloqui con lui per raccogliere informazioni utili alla difesa, ma poi hanno preso il sopravvento gli interrogativi: cosa vuol dire essere un fondamentalista islamico? Come si diventa un presunto terrorista? Questo libro però ha lo scopo di aiutarci a capire la complessità della realtà che ci circonda. Apre uno spiraglio in quel mondo per noi occidentali ancora sconosciuto e noto solo attraverso frasi fatte di incitamenti a una generica jihad, martirio e altre immagini che ci appaiono sfocate e lontane fino a quando non ci colpiscano direttamente come a New York, Madrid o Londra. Kamel è figlio del XX secolo e vive tutte le contraddizioni di un paese islamico come l'Algeria. La sua conversione all'estremismo arriva dopo la vittoria del Fronte islamico nelle elezioni del 1991. Quel risultato non piacque a molti e il voto fu annullato. La «teologia della democrazia» promossa da certo Occidente ha le sue regole e in certi Paesi, vedi quanto accaduto in Palestina o nello stesso Iraq, certi partiti e organizzazioni anche se ottengono il consenso popolare, non sono da considerarsi democratici. Così mentre in Algeria esplode una guerra civile sanguinosa Kamel fugge dalla sua Costantine e arriva in Italia. Un percoso simile a quello di tanti altri immigrati. Pervasi di religione e in cerca di una «via». E questa via viene illuminata dal Corano. Da quell'interpretazione che li porta ad abbracciare l'estremismo dei «Takfir wal Hjra», anatema ed esilio. Un gruppo che raccoglie molti sbandati e piccoli delinquenti e li trasforma in aspiranti mujaheddin, combattenti santi. Ma non è la religione la luce guida, è piuttosto l'interpretazione che certi «indottrinatori» fanno delle parole del Profeta. Così diventare shahid, martire, assume l'importanza della redenzione. Nel Corano molte sure parlano di martirio e di jihad: «Chi combatte per la causa di Allah, sia ucciso o vittorioso, riceverà una ricompensa immensa». E l'Islam e la jihad, lo sforzo, è diretto tutto contro gli apostati quelli che hanno tradito il Profeta Maometto. Una guerra che vuole soprattutto scacciare i regimi islamici e poi via via, secondo le aspirazioni di Osama Bin Laden creare il Grande Califfato che riporti l'Islam alla gloria degli anni di Maometto. Così i nostri «takfir» in terra straniera si nutrono di odio dissetandosi alle notizie che vengono dall'Iraq e dall'Afghanistan. Su internet scambiano informazioni e apprendono tecniche di guerriglia e sabotaggio. Frequentano moschee periferiche nelle grandi metropoli dove danno vita a circoli salafiti: quei barbuti che predicano l'astinenza dall'alcol e dalle mode occidentali in un rigido protocollo scandito dai versetti del Corano. Un leader wahabita, lo sceicco bin Athimein, ha proibito di fumare, di pregare dietro un fumatore, di radere la barba, di pregare dietro ad un uomo rasato e di indossare vestiti europei perché sono vestiti da politeisti. La guerra santa diventa così un'aspirazione una ricerca affannosa. Si cerca di andare in Iraq, in Afghanistan dove la

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