Quando gli Usa salvarono l'Iran

Forti, all'epoca, del monopolio sull'arma atomica — detenuto fino al 1949 — gli Stati Uniti riuscirono infatti a far sgombrare i sovietici dall'Iran settentrionale, occupato durante la guerra contro la Germania. Di questa vicenda, poco nota, c'è da giurare che non ci sia traccia alcuna nei testi di storia in uso nel paese degli ayatollah: tra gli Stati, come tra gli uomini, la riconoscenza non è di casa. L'Iran venne alla ribalta nella lontana estate del 1941, quando inglesi e sovietici accusarono Reza Shah (padre di Mohammed, detronizzato da Khomeini nel 1979), di connivenza con la Germania nazista. In effetti, la presenza dei tedeschi nel paese era significativa, al punto che l'interscambio con la Germania riguardava il 41 per cento del commercio iraniano. Tecnici e consiglieri tedeschi erano presenti nella Banca Nazionale, nell'industria manifatturiera, negli impianti radiotelegrafici e per la costruzione della ferrovia Transiraniana. All'accusa che i tedeschi presenti in Iran erano ventimila, Teheran ribattè che non superavano il numero di settecento: ma ciò non valse a evitare una decisione punitiva da parte degli anglo-russi. L'Armata Rossa avanzò da nord, gli inglesi da sud e da est. Reza Shah dovette abdicare e fu esiliato in Sud Africa, dove morì. Con questa operazione, Stalin si era avvicinato ai pozzi petroliferi della regione, controllati dall'«Iraq Petroleum Company» e dalla «Anglo-Iranian Oil Company». Conoscitore delle realtà etniche della regione, essendo nato in Georgia (non per niente era stato Commissario alle Nazionalità con Lenin), Stalin, per non allarmare gli Alleati, giocò d'astuzia: usò il "cavallo curdo" come cavallo di Troia, favorendo la nascita di uno Stato-fantoccio nell'Iran settentrionale. Era da tempo ospite dell'Unione Sovietica Mustafa el-Barzani, leader curdo e personaggio carismatico, quanto mai indicato per realizzare i disegni staliniani. Affiancato dai consiglieri russi Namazaliev e Kommisariov, il 15 dicembre 1945 (il secondo conflitto mondiale si era concluso da poco) lo «sceicco rosso» proclamò la Repubblica Popolare Curda, con capitale Mahabad, nel Nord dell'Iran. Capo dello Stato diventò il Kadi Muhammad Gazi, eletto da un parlamentino convocato in fretta e furia. La Repubblica Popolare Curda contava un milione di abitanti, ma era un richiamo molto forte per le altre comunità in Iraq, Iran, Turchia e Siria, a parte la posizione strategica che occupava a cavallo della frontiera con questi quattro paesi. In quel periodo, el-Barzani, comandante in capo delle Forze armate (equipaggiate dai sovietici) apparve per la prima volta in pubblico, indossando una scintillante uniforme di Maresciallo dell'Armata Rossa, grado conferitogli da Stalin in persona. Fu a questo punto che Casa Bianca, Dipartimento di Stato, Dipartimento della Guerra misero l'Iran all'ordine del giorno e il dossier relativo venne aperto dal Presidente Truman, con carattere di urgenza. In gioco, non c'era soltanto l'equilibrio politico-militare in una zona nevralgica; prevalenti erano gli interessi petroliferi inglesi in Iraq e Iran e quelli americani in Arabia Saudita (da poco la prima cisterna con la bandiera a stelle e strisce aveva completato il carico nel terminale saudita di Ras Tanura). L'esercito dello Scià, armato dagli americani e appoggiato dalla Raf, avanzò verso Nord, deciso a spazzare via la Repubblica Popolare Curda: Mahabad fu occupata il 31 marzo '47, Muhammad Gazi e altri ventotto notabili vennero giustiziati. Stalin si guardò bene dall'intervenire per sostenere lo "sceicco rosso" (mancavano ancora due anni alla esplosione della prima atomica sovietica) e i consiglieri politici e militari del Cremlino furono ritirati. Un arretramento tanto più significativo, in quanto l'Unione Sovietica non stava rinunciando a un pollice di terr