Dylan, il camaleonte fedele a se stesso
Alla già cospicua serie di pubblicazioni dylaniane, si aggiunge ora il poderoso volume "Lyrics 1962-2001", edito da Feltrinelli, contenente tutte le canzoni del menestrello di Duluth album per album, brano per brano, tradotte da Alessandro Carrera. Sarebbe il caso di definirlo un libro imperdibile, se non fosse per il prezzo, 60 euro, e anche per la mole non certo incoraggiante. Ma gli amanti di Dylan, soprattutto i fedelissimi del cartaceo, sono abituati a fatiche maggiori e sicuramente apprezzeranno la specificità del volume. Fra gli amanti di Dylan va sicuramente annoverato Alessandro Carrera stesso, che da anni si dedica con passione e successo alla divulgazione poetica del grande cantautore. La parte più interessante del libro risiede nelle appendici, particolarmente nelle classiche "note del traduttore", che qui assumono un valore aggiunto. Carrera delizia gli appassionati con le sue minuziose descrizioni brano per brano, soffermandosi sulla dietrologia delle canzoni, sui difetti, gli errori, le "alternative takes", le false partenze, i sensi figurati di ogni espressione, tutto ciò che si cela dietro a quel linguaggio autentico e senza retorica del cantautore. Ma al di là del valore lirico, dell'abilità del cantore di storie capace di passare dai momenti "on the road" (legati soprattutto alla produzione degli anni Sessanta) all'iperrealismo e all'amarezza della maturità, emerge la figura del filosofo brillante, quasi "bright". È diventato complicatissimo parlare di Bob Dylan, se si vuole evitare la storia e i luoghi comuni che non hanno mai abbandonato ogni intervento sulla sua produzione e sulle singole, talora spiazzanti, prese di posizione. Bob Dylan è ancora oggi, dopo decenni, uno dei maggiori intellettuali d'America e il suo apparente mutismo non deve trarre in inganno, poiché di fatto guida una motivatissima crociata contro il creazionismo, si definisce ateo, agnostico e difensore di Darwin, aggiungendo che oggi la religione non ha più motivo di esistere. Detto da lui vale di più, visto che nel corso degli anni, in fatto di religione, ha cambiato "casacca" più di una volta. I suoi detrattori l'hanno definito "darwiniano fondamentalista" e lui, fra un never-ending tour e l'altro, ha cercato di spiegare che tutti gli ideali ritenuti più sacri di cui è stato in qualche modo testimonial (pacifismo, anti-autoritarismo, individualismo, diritti civili e qualsiasi forma di "io") possono e devono essere spiegati in termini di cieca sopravvivenza. Le oltre mille e duecento pagine offrono la possibilità di capire - o perlomeno di entrare in stretto contatto - quell'America sognata, poi ripudiata, in seguito addirittura rimpianta che rimane alla base dell'interesse del Dylan autore di canzoni (il performer è tutt'altra cosa e non sarebbe male se qualcuno affrontasse anche questo lato del musicista). È lui l'artista che più di chiunque altro ha rivoluzionato la forma della canzone unendo tradizioni diversissime: blues, country, rock and roll, gospel, rhythm and blues, ballad. Un'impresa che avrebbe tagliato le gambe a chiunque, soprattutto se si fosse espresso nell'arco di cinque decadi musicalmente molto affollate e contraddittorie. Opinionista amaro, poeta severo quanto si vuole, Dylan è rimasto il solo a tracciare l'immaginazione come via di fuga, anche se a vincere, a conti fatti, sembra essere sempre l'inquietudine. Il fatto è che a lui i prepotenti non sono mai andati giù e fin dall'inizio aveva capito che si potevano sfidare, che non possono fare male. A leggerli uno dopo l'altro questi testi, laddove sia possibile, la statura del poeta non sovrasta tutto il resto; Dylan non sembra poi così cambiato. Ha le stesse aspirazioni, gli stessi amori, la stessa debolezza. Scorrendo i testi delle canzoni del primo album si trovano già la maggior parte delle idee che ha avuto. Forse è stata quella la sua fortuna. A differenza di tanti altri artisti della sua generazione, lui ha tenuto sempre il motore