«Farò rivivere il capolavoro dimenticato»
Dal 21 aprile tornerà in vita sulla scena La leggenda di Sakuntala, dapprima rappresentata al Comunale di Bologna nel 1921 e poi al Costanzi nel 1940 sotto la direzione del grande Serafin. Ritenuta perduta durante la guerra la partitura, l'autore stilò una versione definitiva col nome Sakuntala che andò in scena a Roma nel 1952 sotto la direzione di Gavazzeni. Da allora il silenzio, salvo il fatto che, una volta programmata al Teatro capitolino, negli archivi storici della Ricordi di Milano salta fuori a sorpresa la partitura originale dell'opera, di cui già un direttore di vaglia come Fritz Reiner parlava come di un Parsifal italiano.Particolarmente soddisfatto della scoperta Gianluigi Gelmetti, direttore musicale del Teatro, che ne curerà sia la concertazione che la regia. Interpreti principali, Francesca Patanè, David Rendall, Anna Rita Taliento, Orlin Anastassov e Alessandro Gualerzi. Le coreografie saranno firmate da Amedeo Amodio. Maestro Gelmetti quali sono le differenze tra le due versioni? «La leggenda di Sakuntala per chi è appassionato di questo repertorio è un'icona, un mito. Il capolavoro di Alfano mancava da più di mezzo secolo dalle scene, e noi ci rifacciamo alla prima versione del 1921 grazie alla scoperta che è avvenuta in corso d'opera. Tra le due versioni ci sono alcune differenze, come un taglio finale: quella del 1921 è più asciutta, più audace e meno enfatica, più moderna». Vi si colgono influenze? «È difficile dirlo. Forse Strauss e Ravel, ma Sakuntala è precedente anche a molte opere sia dell'uno che dell'altro. Si avverte però il clima europeo che ha influenzato sia Strauss che Ravel. Oltre ad un linguaggio ardito c'è anche una cantabilità italiana. Credo sia una delle più importanti opere italiane del Novecento». Ma si tratta di esotismo o di qualcosa di più...? «Non è affatto il solito orientalismo d'accatto, un esotismo di maniera. Questa opera, tratta dal "Riconoscimento di Sakuntala" di Kalidasa, è per Alfano come un contenitore per riversarci i suoi interessi. Un'opera simbolica e simbolista a tutto tondo: c'è la gazzella, l'anello perso e poi ritrovato dal pescatore, il monile che fa acquistare il terzo occhio. È un'opera molto mistica, magico- iniziatica come "Il Signore degli anelli". Piacerà moltissimo al pubblico». Quali altri italiani usciranno dal suo cilindro? «Abbiamo un grande dovere verso Mascagni, che amo e che è stato legatissimo a questo Teatro. Il primo Novecento è stato molto fecondo per il teatro, ma per lo snobismo esterofilo molti hanno sofferto di vicinanza al fascismo». Lei firma anche la regia, come per il Barbiere.... «Per questa opera non verista ho cercato una ambientazione rassicurante. Non mi interessava ambientarla in autostrada o in un aereoporto. Ho cercato un'ambientazione fantastica più che indiana, ispirata al pittore Gustave Moreau, sia riproducendo suoi siparietti, sia per i costumi. Un contenitore moderno ma rassicurante, non scioccante. Non per questo scene e costumi sono banali. Anche nella gestualità ho cercato di recuperare in maniera stilizzata il linguaggio dell'opera italiana. E' il nostro linguaggio, una sorta di nostro kabuki». Quindi soddisfatto dei bilanci artistici.... «Siamo l'unico teatro che nonostante i tagli e gli scossoni abbia cercato di mantenere fermi gli appuntamenti del cartellone». Che cambia ora per la musica dopo le elezioni? «Non lo so, Spero che il Fondo Unico dello Spettacolo sia ripristinato. Non si può lavorare con tagli indiscriminati a stagione già iniziata, perchè ci si costringe a comportare in maniera poco seria con gli artisti che sono ingaggiati con anni di anticipo. Spero però che si faccia una seria ristrutturazione degli enti realizzata col contributo di chi vi lavora da decenni. Il segreto è quello di cooperare tra i diversi teatri, facendo circuitare le