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Addio Pitney, voce yè-yè del festival di Sanremo

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Il grande successo arrivò cantando Bacharach. Piaceva anche ai Rolling Stones

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Gene Pitney è morto a Cardiff, nel pieno di un lungo tour che alla fine avrebbe contato oltre cento concerti, in lungo e in largo per tutta la Gran Bretagna, qualche volta anche con due spettacoli al giorno. Aveva 65 anni e in Italia ebbe un grande momento di popolarità intorno alla metà degli anni Sessanta. Il primo a presentarlo in Tv fu Mike Bongiorno, nel 1963, nel programma «La fiera dei sogni», dove cantò «Un soldino». Era nato ad Hartford, Connecticut, da buona famiglia, mostrando subito una predilezione per la musica, imparando a suonare da solo piano, chitarra e batteria. Giovane, bello e talentuoso, sbarcò in Italia come idolo delle giovanissime, ma in realtà negli Usa si era già imposto come buon compositore rock and roll, firmando classici come «Hello Mary Lou» (per Ricky Nelson), «Rubber ball» (Bobby Vee), «He's a rebel»(Crystals) e altri ancora. Il successo come cantante arrivò con «Town without pity», una canzone di Burt Bacharach inserita nella colonna sonora del film «La città spietata». Dello stesso autore l'altro brano che lo consacrò definitivamente, «The man who shot Liberty Valance». Al Festival di Sanremo del 1964 arrivò dunque preceduto da una notorietà internazionale, proprio nell'anno in cui il festival apriva per la prima volta le porte agli stranieri in gara a patto che cantassero in italiano (insieme a Pitney quell'anno ci furono Frankie Avalon, Paul Anka, Fraternity Brothers, Ben E. King, Peter Kraus, Frankie Laine, Bobby Rydell, Little Peggy March). «E se domani» — a proporla in una seconda versione c'era il cantante napoletano Fausto Cigliano — non entrò nemmeno in finale, ma si iscrisse di diritto, grazie anche alla superba interpretazione che ne fece Mina qualche tempo dopo, nella storia della musica leggera italiana. Andò meglio con l'altra canzone che presentò al Festival di Sanremo del 1964, «Quando vedrai la mia ragazza», un piccolo capolavoro dello yè-yè. «Era un ragazzo semplice, simpatico, con una voce molto particolare. Quell'anno ci andò bene ma lui riuscì a vendere molti più dischi di me». Così lo ricorda commosso Little Tony, che il 23 aprile aprirà il suo tour americano con un concerto a Toronto. «Gli invidiai molto l'arrangiamento, che era senz'altro più attrezzato del mio — ha ricordato il cantante romano —. Purtroppo, non potemmo utilizzare la registrazione che facemmo a Roma con Gino Paoli, vero autore del brano, che suonava il piano. Sbagliava tutti gli accordi ma c'era un'energia incredibile!». Gene Pitney tornò a Sanremo l'anno dopo con «Amici miei», in coppia con Nicola Di Bari , ma andò nuovamente bene nel 1966 quando cantò «Nessuno mi può giudicare». L'affermazione andò quasi del tutto a Caterina Caselli ma il cantante americano ottenne un successo personalissimo. L'ultima partecipazione fu del 1967, nuovamente in coppia con Nicola Di Bari con «Guardati alle spalle». Prima dell'inevitabile oblio, Pitney fece in tempo a centrare un paio di buoni successi, come «Ritorna» e «Lei mi aspetta». Caratterialmente si poteva definire un ragazzo sorprendente. Nel 1964, quando in tutto il mondo imperava il British Sound, volle che Mick Jagger e Keith Richard dei Rolling Stones scrivessero un brano per lui. Restituì il favore partecipando come ospite, suonando piano e maracas, nel primo album del gruppo inglese.

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