di GABRIELE SIMONGINI UN PUZZLE drammatico, frutto di una tragedia che causò quattro ...
Oggi, nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, viene infatti inaugurato il restauro di due vele nelle volte d'incrocio tra navata e transetto, crollate (insieme ad un'altra vela poi ripristinata al 65% nel 2002, attribuita da alcuni ad un ignoto maestro romano e da altri a Giotto giovane) durante il terribile terremoto del 26 settembre 1997. La prima vela era stata dipinta da Cimabue con l'evangelista Matteo, mentre l'altra era monocroma a "finto cielo". Subito dopo la tragedia Antonio Paolucci, Soprintendente al Polo museale fiorentino chiamato dal governo a gestire la ricostruzione, disse che «era crollato un canto della Divina Commedia, la lingua figurativa degli italiani». Basta pensare che erano andati in polvere 180 metri quadrati di affreschi, frantumati in 300 mila frammenti. Dopo aver messo in stato di sicurezza la Basilica e il Sacro convento, gli esperti aprirono un difficile dibattito sulle cose da fare: ricostruire le vele e lasciarle bianche per mostrare la ferita? Oppure proiettare dal basso le immagini degli affreschi? O, ancora, dare vita ad una sfida quasi impossibile, a quello che è stato chiamato il "Cantiere dell'Utopia", fondato sullo sforzo di ricostruire per quanto possibile con un gigantesco puzzle quanta più superficie pittorica fosse possibile. Fu scelta questa terza soluzione, la più coraggiosa. E nel 2002 è stata recuperata per i due terzi la vela di San Girolamo, forse di mano di Giotto giovane e polverizzata in 40.000 frammenti. Adesso, a dir la verità, le cose non sono andate bene come allora e il restauro ha un valore più emblematico che reale. È stata infatti ricostruita con enormi sforzi (nove anni e 60.000 ore di lavoro, decine di restauratori, due milioni di euro di spesa) solo un quarto della superficie dipinta originaria. E l'effetto visivo non rende giustizia a questo immane impegno perché in realtà domina in entrambe le vele una tinta grigiastra e neutra sulla quale sono stati incollati solo pochi minuscoli frammenti sicuramente ricollocabili nella loro posizione originaria. L'effetto dal basso è appunto quello di una polvere colorata sparsa a galassia e nella quale non si riesce a distinguere niente, tanto meno il San Matteo o il cielo. Le attuali tecniche di restauro questo permettevano e così per i frammenti rimasti a terra si guarda con fiducia al futuro, a nuove tecnologie di restauro e il "Cantiere dell'Utopia" va avanti. Un famoso restauratore come Bruno Zanardi è piuttosto critico nei confronti dell'operazione e ha scritto al proposito che "viene restituita alla società civile una delle opere di decisiva importanza per la storia della nostra cultura figurativa, il San Matteo di Cimabue, ridotto a una grande spiaggia sabbiosa (la cosiddetta tinta neutra) su cui vola in ordine sparso un informe sciame di farfalle ( i frammenti autografi di colore)". Zanardi può avere forse ragione da un punto di vista strettamente tecnico ma dimentica che questo restauro ha un valore fortemente emblematico per l'impegno umano e in prospettiva futura, in vista di nuove tecnologie. Né si può dimenticare l'enorme lavoro compiuto fin dall'inizio, a partire dalla spettacolare e difficilissima operazione che con due grandi gru portò alla salvezza del timpano del transetto di sinistra della Basilica Superiore, un'operazione durata 19 minuti e che tenne tutto il mondo col fiato sospeso perché ripresa dalle telecamere. Paolucci la definì il "volo dell'angelo". Ora ci vorrebbe un intero coro di angeli che pazientemente portasse in alto i frammenti rimasti a terra per incollarli sulle vele ricostruite, al posto giusto.