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Svelate le bugie dell'Urss

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Tanto per fare un esperimento, gli concedono il visto. Dopo qualche tempo fa ritorno. Successivamente chiede di nuovo il visto. Un funzionario del Kgb, mostrandogli un mappamondo, gli chiede di mostrargli dove esattamente voglia andare. Il vecchio lo fa girare e poi chiede: "Ha solo questo?"». A Jurij Druznikov non manca davvero il senso dell'umorismo. Ne ha passate in vita sua, e potrebbe rifugiarsi nel ruolo dello scrittore perseguitato, dell'anticomunista militante, della vittima di un regime oppressivo che la Storia ha definitivamente archiviato. Da quasi vent'anni, Druznikov vive esule negli Stati Uniti. Accusato di essere un "traditore della patria" e un "calunniatore del popolo sovietico", scampò il gulag grazie alla mobilitazione di molti intellettuali del mondo libero. Ma le sue traversie ebbero in Occidente un'eco di gran lunga minore a quella riservata alle tragedie umane (e ai libri) di Solzenicyn, di Bukowsky, da Daniel e Sinijavski. E quel sostanziale disinteresse spiega come mai il suo capolavoro - "Angeli sulla punta di uno spillo" - sia pubblicato in Italia soltanto oggi, e da una piccola casa editrice (Barbera, di Siena), che dimostra coraggio e intelligenza. Perché questo romanzo merita le critiche entusiastiche che lo hanno accompagnato in tutto il mondo, e che lo hanno portato nei primi posti delle classifiche di vendita in molti Paesi. Aleksandr Solzenicyn lo ha definito "un libro fondamentale". È in questo modo, ha aggiunto che "gradualmente tutte le bugie dell'Unione Sovietica verranno finalmente a galla". L'Observer ha scritto che questo romanzo "sposa l'ampio respiro di Solzenicyn con l'umorismo graffiante di Bulgakov". Certe pagine ricordano davvero l'ironia e la fantasia visionaria del "Maestro e Margherita". Nel romanzo (scritto negli anni Settanta e ambientato nella redazione della Trudovaja Pravda, quotidiano del Comitato centrale del partito) irrompe all'improvviso il marchese de Custine, aristocratico viaggiatore francese dell'Ottocento, autore di un saggio intitolato "La Russia nel 1839", che - trovato nella stanza del direttore Makarcev - procurerà apprensioni e guai a Makarcev, protagonista del romanzo in mezzo a una folla di personaggi (come nelle migliori tradizioni russe: da "Guerra e pace" al "dottor Zivago"). Il "libro nel libro" (quello di de Custine) descrive una Russia povera e opprimente, governata dallo zar Nicola I senza alcun rispetto per i sudditi, e ne prevede un'altra - quella del Novecento - che riserverà al popolo il medesimo trattamento. "Questa è una nazione nata per la schiavitù, e che fieramente si oppone a ogni segno di libertà; costoro sono creature remissive quando vengono oppresse e non si ribellano davanti al giogo". Andava così nell'Ottocento; è andata così fino alla caduta del regime sovietico. Ma - e questo è un elemento distintivo di Druznikov rispetto agli altri scrittori dissidenti russi - non va in modo molto diverso adesso, con Vladimir Putin al Cremlino. Ecco come la pensa Druznikov sulla Russia di oggi: «Nessuno riesce a sfuggire alla tela del ragno. E ora il gruppo di comando del Kgb sta cercando di estendere il suo controllo all'intero paese. Il rischio è più realistico che mai. E, come sempre, al comando hanno piazzato un "loro uomo", uno che sia possibile manipolare, che sia completamente asservito. Non hanno bisogno di una persona brillante e potente, per il ruolo di Presidente: sarebbe rischioso. Hanno bisogno di un cavallo grigio, come dicono i russi, uno che obbedisca. Ad esempio il colonnello Vladimir Putin. Durante il suo mandato di Presidente, guarda caso, in soli sette anni quasi tutte le posizioni di potere del Paese sono state occupate da ex agenti segreti del Kgb. Le elezioni? Sì, ci saranno delle elezioni di facciata, ma invece del gentile colonnello Putin vincerà un altro simpatico cavallo grigio controllato dalla stessa organizzazione; potrebbe trattarsi pers

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