Cooper, ultimo maledetto della letteratura americana
"(Fazi, pp. 128, 12 euro). Limpida è la semplicità della scrittura: non cede mai al facile gioco di una narrazione retorica. La potenza dell'autore consiste forse proprio in questo: situazioni e personaggi rivelano, nella loro inquietante, malinconica, riflessiva evidenza di una norma esistenziale, la realtà di una implosa solitudine interiore. Ci troviamo di fronte a una sorta di metamorfosi creativa. Siamo infatti ben lontani dalle forme "estreme di vita vissuta" nella nota saga di George Miles. Ora Cooper analizza la morte di un figlio, attraverso un processo mentale, dove però le emozioni affiorano dense e profonde. Un esempio: "Non posso correre il rischio che, rendendomi conto che Tommy se n'è andato per sempre, mi venga da piangere. Voglio che lui resti e che mi faccia provare questo vago terrore di restare insensibile per il resto dei miei giorni". Cooper, è molto diverso questo romanzo dai precedenti? «In questo libro mi sono concentrato più sul mio mondo interiore che sulla realtà esteriore. Forse nei precedenti c'era la sicurezza di trovare una spiritualità attraverso una persona amata, attraverso l'oggetto del mio desiderio. In questo l'oggetto amoroso è morto, per cui il protagonista è solo. Sartre ha detto che l'inferno sono gli altri, se questo è vero, forse il purgatorio sei solo te stesso». Quanto c'è di autobiografico? «Per molti versi questo libro sicuramente lo è. Il protagonista costruisce questo monumento dedicato a suo figlio ed è quello che ho cercato di fare io per un mio amico d'infanzia, attraverso i miei libri. C'è il mondo dei video giochi che amo e conosco bene, per cui ci sono degli elementi emotivamente molto vicini a me. Quindi potrei dire che è autobiografico anche se non c'è nulla di vero». Quale differenza ci può essere tra uno spettatore e un lettore? «L'immagine è per sua definizione solida, definita, è un blocco d'informazioni completo, tu la guardi e vedi ciò che lei vuole farti vedere. La fiction in letteratura è molto diversa da una foto, da un film: è una forma d'arte molto più viva, perché è una via di mezzo tra l'immaginazione dello scrittore e quella del lettore. Il mondo che io creo passa in mano a quest'ultimo che decide il ritmo, come leggere il libro. L'esperienza della lettura diventa personale. Quindi l'incontro tra la mia fantasia e quella del lettore resta una rappresentazione molto sincera della realtà». L'uso di droghe può aiutare ad affrontare meglio la realtà? «La droga ti può aiutare a capire meglio la realtà. Quando ero giovane ho fatto un ampio uso di droghe. Mi ricordo che potevo stare molto tempo a fissare una lampada cui non avrei mai dato attenzione da sobrio. Quindi attraverso la droga ho potuto imparare molte cose reali che altrimenti non avrei capito. Ma è pur vero che le droghe possono anche allontanare dalla realtà, dipende da chi ne fa uso e come». Il futuro del romanzo come genere? «Non credo che tornerà ad essere una forma d'arte dominante. Ma almeno per quanto mi riguarda, i miei lettori più fedeli sono tra i più giovani, che magari leggono poco, ma si appassionano molto ai miei libri: li capiscono, li studiano e ne traggono un gran piacere. Penso quindi che ancora oggi la lettura di un romanzo possa offrire un piacere unico, che nessun'altra forma può dare. Sicuramente la letteratura farà sempre più difficoltà a competere con gli altri media molto più popolari, ma sebbene ci sia meno gente che legge libri, chi lo fa, prova una grande passione. Quindi non si tratta forse di quantità ma di qualità». Come vive il sentimento dell'amore? «Per quanto mi riguarda, se sei innamorato, lasci il tuo paese, le amicizie, per andare a vivere in un altro, come ho fatto io. Il mio ragazzo è russo. Da due anni cerchiamo di ottenere il visto per vivere negli Stati Uniti, ma è molto difficile per chi ha la cittadinanza russa. Ora viviamo a Parigi insieme, lontano entrambi da casa, in attesa di questo visto. Non si direbbe, ma se mi innamoro dive