«In missione per la pace dopo la morte di Rabin»

Quasi uno scampolo estremo dell'estate mediorientale. Noa era appena scesa dal grande palco allestito nella piazza dei Re d'Israele. «Avevo visto Yitzhak Rabin nei camerini. Mi sembrava un po' nervoso, doveva salire lassù per pronunciare il suo discorso. Aveva un carattere introverso, timido. Ma mi sorrise, si congratulò per come avevo cantato, come aveva fatto altre volte». Era il 4 novembre 1995. Fu l'ultima volta che lo vide vivo. Pochi minuti dopo, un colono fondamentalista sparò all'uomo della pace. Quel ricordo è l'unico capace di far spezzare, ancora oggi, la voce all'usignolo: «Fu traumatico. Fino a un attimo prima avevo visto nei volti di tutta quella gente l'ottimismo nel futuro. Ci vollero ore perché la certezza di quella tragedia si registrasse nel mio cervello. Da allora ho sempre partecipato alle commemorazioni di Rabin, ho mantenuto i contatti con la vedova Leah, fino alla sua scomparsa. La morte violenta di quell'uomo mi ha spinta a credere nella concordia tra gli uomini come a una missione. È stata la sua eredità». Un destino anche nel nome, per Achinoam Nini, in arte Noa: in ebraico significa "sorella della pace". Anche la musica può far qualcosa, com'è ovvio. «Ognuno di noi deve impugnare le armi dell'amore e sparare ovunque la speranza e la comprensione, con ogni mezzo e in ogni ruolo. I politici non devono concentrarsi sulle loro poltrone, ma sul benessere di tutti noi. C'è una frase meravigliosa incisa sul muro dello Yad Vashem, il museo dell'Olocausto di Gerusalemme: "Tutto quel che occorre per distruggere il mondo è l'immobilismo della gente di buona volontà". Io credo in questo». Ma c'è un posto nel mondo dove lei si sente a disagio, impotente? «In ogni luogo c'è una bellezza che dobbiamo cercare. Come in ogni persona, e senza preconcetti. C'è solo un posto dove ho provato l'impulso di correre via dopo pochi minuti». Quale? «Un campo di concentramento in Germania. Ma è un caso estremo. Il pubblico tedesco mi ama incredibilmente: per me ebrea, solo 50 anni dopo quella terribile guerra, è un atteggiamento che mi infonde grande fiducia». Il ministro degli esteri israeliano Tsipi Livni ha invitato Benedetto XVI nella vostra terra. «Davvero? Non lo sapevo. La signora Livni è una figura politica molto onesta e positiva. Non è un gesto prematuro: è sempre il momento giusto per il dialogo tra le religioni. Se il Papa venisse in Israele sarebbe un grande onore». La prossima settimana affronterete le elezioni. Gli ultimi sondaggi danno ancora largamente vincente Kadima, il partito di centro di Sharon e Olmert. «Io però voterò per Meretz, una formazione di sinistra molto concentrata sul tema dei diritti umani, che potrebbe far parte della grande coalizione con Kadima e i laburisti. Saremo le sentinelle delle istanze di tutti». I rabbini ultraortodossi minacciano l'inferno per chi voterà Kadima. «Chiacchiere inutili. La vita è qui e ora. Nessuno può giudicarmi solo perché porta un certo cappello, o la kefiah, o la barba. Ogni uomo deve essere valutato per ciò che fa, non per le paure che gli vengono inoculate». Con Hamas al potere nei Territori, la situazione è peggiorata per voi israeliani? «È rimasta la stessa, finora. Più in là potremo decifrare molti dei giochi politici che si svolgono a nostra insaputa. È la comunità internazionale a distribuire le carte sul tavolo: a chi chiederà i finanziamenti Hamas per le proprie strategie di governo? All'America, all'Europa, ai terroristi? Per ora è come una contrattazione al mercato, ma se i politici faranno il loro dovere potranno neutralizzare il pericolo dell'estremismo. Hamas dovrà diventare un partito serio, altrimenti saranno gli stessi palestinesi a cacciarlo. Molti dei miei amici laggiù lo hanno votato solo come protesta per la corruzione dell'Anp. Ma non hanno intenzione di trasformarsi in nuovi talebani». Come fate voi israeliani a convivere con il pericolo quotidiano del terrorismo? «Senza alcuna paura. Nessun Paese al mondo è esente da rischi. Io mi preoccupo molto di più in ce