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Il Petruzzelli diventa simbolo di un'era

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NICO CERASOLA, dalla fine degli Ottanta, si è aperto uno spazio colorito nel cinema che si fa in Puglia («Odore di pioggia», «Da do da», «Albania Blues»). Ora concreto, ora cedendo al grottesco, ora mirando al surreale. Con pigli non di rado risentiti, fino a sfiorare la polemica. Come in questo suo quarto film che riesce a uscire solo adesso nelle nostre sale dopo lunghe attese. Lo spunto è il rogo che distrusse a Bari il famoso Politeama Petruzzelli, facendo, proprio all'inizio, una cronaca breve di quell'incendio doloso applicato da due delinquenti senza entrare nel merito delle loro motivazioni, chiarite ormai dalla magistratura. Da qui, andando indietro fino agli Venti e Trenta, sull'onda dei ricordi di un bambino diventato da adulto il custode del teatro, la rievocazione non tanto della storia di quello stesso teatro, ma dei notabili baresi che, seguendone gli eventi, si radunavano come per un rito nel circolo più noto della città dove, tra intrighi, pettegolezzi e gioco d'azzardo (per questo, anziché Bell'Époque «Bell' Épokér») consumavano delle vite sempre uguali, recitando delle parti strettamente collegate a se stessi, il Barone, il Banchiere, l'Avvocato, il Consigliere Comunale, il Direttore. Quasi si rappresentassero in palcoscenico. Cirasola segue questa fauna pittoresca. Uomini e donne, debiti, amorazzi, idee nuove sull'arte, concezioni retrive sulla mondanità e gli spettacoli. Con quel Petruzzelli di sfondo che, nel finale, rovinerà sotto le fiamme. Il dato più curioso, da cui scaturisce una polemica precisa, è che tutti lì, anche se passano gli anni e sui tanti attori incaricati di dar vita a quel via vai di personaggi si intravedono appena i segni del tempo, restano sempre uguali: con i loto tic, i loro vizi, le «maschere» cui sono stati agganciati. Come a dire che, nonostante tutto, nulla cambia all'interno e all'esterno di quegli ambienti pur destinati al tramonto. Certo, i modi di rappresentazione, i costumi, la recitazione stessa degli attori, risentono di un certo sapore artigianale che, qua e là, scade nel facile. Il segno caricaturale, però, è preciso e anche quando non si esime dall'essere impietoso accoglie nel fondo anche certi presupposti per un'operazione «nostalgia» fatta scaturire da quel Petruzzelli evocato come un fantasma: con l'ambizione dichiarata di farne un simbolo. Di un'epoca e di una società. La cifra in cui meglio questa nuova impresa di Cirasola si può accogliere.

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