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di ANTONIO ANGELI ESISTE, serpeggia e, da un po', emerge prepotentemente una grande passione per i linguaggi del passato.

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Qualcuno, sembra incredibile, riesce perfino a guadagnarci sopra. In una vera impresa si è lanciato, con successo, Jamie Gulpilil, ventiduenne aborigeno australiano, che ha fatto fare al cinema un salto nell'età della pietra, organizzando la realizzazione di un film sui suoi antenati, in lingua originale. Coloro che la parlano si possono contare, oggi, sulle dita di una mano. Così è nato «Dieci canoe», primo film girato interamente in lingue aborigene, per lo più un dialetto chiamato «ganalbingu». Per la realizzazione il regista, Rolf de Heer, e tutta la troupe hanno affrontato l'inferno di una palude del nord dell'Australia per otto settimane. Il film è stato presentato ad Adelaide l'altra sera e racconta la storia di 10 aborigeni in cerca di uova di anitra. Le riprese sono state effettuate lo scorso anno in una località chiamata Arafura in Arnhem Land, nell'estremo nord del continente, dove la troupe ha dovuto lottare con sanguisughe e zanzare, mentre uomini di vedetta in cima agli alberi lanciavano accorati allarmi quando arrivano i coccodrilli. Il «cast» è di 40 aborigeni e la maggior parte parla solo antichi dialetti. «È stato più difficile di qualsiasi cosa che abbia mai fatto prima - ha detto de Heer - e mi ha dato molta più soddisfazione». E una grande soddisfazione la deve provare anche Mel Gibson. Nel suo primo film faceva la parte di «Mad Max», Max il pazzo, e qualcuno aveva ripreso a chiamarlo così, dopo l'annuncio che avrebbe girato un film in aramaico. Poi «La passione» ha incassato un miliardo di dollari e nessuno ha fiatato più. E lui, Mad Mel, ora ci riprova con le lingue antiche e propone un film in dialetto maya. «Apocalypto», che Gibson sta girando in Messico, è dedicato al crepuscolo della grande civiltà del Centro America, cinquecento anni prima che gli europei vi mettessero piede. Il film, già attesissimo negli States e che uscirà il 4 agosto, tocca con abbondanza di dettagli il tema dei sacrifici umani ed il sangue scorre a fiumi. Ma, ovviamente, non vuole essere un semplice splatter. Gibson ha arruolato una piccola armata di esperti sulla civiltà Maya per raccontare la fine di questo popolo con una precisione di dettagli mai visti finora sugli schermi cinematografici. «Voglio dare una scossa al genere dei film d'azione che sta diventando sempre più statico con gran parte del compito ormai affidato agli effetti speciali dei computers - afferma Gibson - Le storie sono scontate, i personaggi sono superficiali. Noi vogliamo ottenere risultati ben diversi». E probabilmente ci riuscirà, la formula è ben sperimentata, proponendo questo kolossal in dialetto Maya dello Yucatan. E chi vorrà capirci qualcosa dovrà affidarsi ai sottotitoli, come è avvenuto per «La Passione», due anni fa. E sempre ai sottotitoli si devono affidare gli appassionati della tragedia greca che la vogliono vedere (e sentire) così come Eschilo, Sofocle ed Euripide l'hanno partorita. Non è più infatti una rarità trovare un allestimento teatrale di «Edipo re» o «Elettra» in greco antico, con, alla base del palcoscenico, il provvidenziale «serpentone» della traduzione simultanea. Parlare di «lingue morte» oggi non ha più molto senso, specialmente se si considera che, teatro a parte, anche il latino sembra godere di buona salute. Sapevate che una radio Finlandese trasmette notiziari in latino? Per fini di... equilibrio diplomatico c'è chi sostiene che l'Unione Europea dovrebbe adottare il latino come lingua amministrativa ufficiale. D'altronde il motto ufficiale dell'Unione è «In varietate concordia» («Uniti nella diversità»). E non è nemmeno una cosa originale, visto che quello dei ben più anziani Stati Uniti d'America è «E pluribus unum» («Da molti, uno»). Evidentemente certe cose, se dette in una lingua antica, suonano meglio.

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