I giornali lanciano l'allarme: «Quel cantante segna la fine delle comunità»
Così titolava qualche giorno fa la Bbc la notizia riguardante il cantante arabo 34enne Yousseph "Chico" Slimani. Per la seconda settimana di seguito è infatti al primo posto dei singoli più venduti con la sua canzone-tormentone "It's Chico time". Conosciuto al grande pubblico inglese per la sua partecipazione al talent-show "The X Factor" del 2005, il cantante arabo sta letteralmente spopolando. Nato nel Galles ma vissuto in Marocco, Slimani è tornato in Gran Bretagna all'età di quattordici anni, lavorando come parrucchiere, elettricista, ballerino-stripper, prima di approdare nel reality. Apparentemente sembrerebbe un semplice successo discografico, diciamo pure una botta di fortuna, appartenente a quel mondo della discografia più superficiale, in realtà questo sorprendente n.1 sta avendo insolite ripercussioni. Secondo l'autorevole "The Guardian" potrebbe trattarsi anche di un campanello d'allarme nei confronti della "fine delle comunità", un tema molto sentito nelle grandi città inglesi, a cominciare dalla capitale. "Abbiamo le multe agli hooligan - scrive Simon Jenkins sul quotidiano laburista - il divieto di consumare alcolici sugli autobus, i tribunali notturni, il coprifuoco, le ingiunzioni ai genitori, l'ora nazionale della favola, l'ora nazionale per andare a letto, una miscela di ordini di chiusura e iniziative antisputo. Orwell appenderebbe la penna al chiodo e andrebbe in pensione". Un modo come un altro per prendere la palla al balzo per affrontare la nuova campagna del governo Blair contro il teppismo e i comportamenti asociali dei giovani, che si chiama "Respect". Una campagna improntata alla tolleranza zero e alla responsabilizzazione dei genitori. Secondo alcuni è il primo passo verso una migliore convivenza. Per altri - a cominciare proprio dal "Guardian" ma anche dall'"Independent" - è autoritaria, centralista e finirà per avere effetti controproducenti. Nel mondo discografico inglese il successo di Yousseph "Chico" Slimani è visto come un'affermazione dei petrodollari, per l'esattezza come l'ultima dimostrazione di potenza di quella disneyland araba che già da anni ha sferrato l'attacco al cuore del music-business anglosassone. Slimani è stato già ingaggiato dal Burj Dubai Development, un vasto progetto urbanistico-spettacolare che si sta occupando, fra l'altro, della ricostruzione di quella che un tempo era una zona desertica, di un distretto residenziale con trentamila abitazioni, un hotel disegnato da Giorgio Armani, un parco del ghiaccio, un enorme lago artificiale e due teatri. Ecco allora che il primato in hit parade dello sconosciuto e un po' miracolato artista anglo-arabo, assume contorni quanto meno inediti e forse poco trasparenti. Non sarebbe il primo caso in cui la hit parade inglese venisse fortemente chiacchierata, ma stavolta le polemiche non arrivano all'interno del settore musicale ma direttamente dagli Emirati Arabi Uniti. Dubai sarà pure un piccolo emirato del Golfo Persico ma le sue ambizioni economiche sembrano non avere limiti. Il pezzo forte del progetto, che coinvolge una decina di compagnie statunitensi, è un grande grattacielo da un miliardo di dollari: centinaia di operai asiatici lavorano giorno e notte per costruire un piano a settimana. Adesso sono al trentunesimo. Il Burj Dubai Development, come anche la recente conquista da parte dell'emirato della gestione di alcuni dei maggiori porti mondiali, è frutto del nuovo boom petrolifero del Medio Oriente e l'industria discografica inglese, che bussa a denaro, e che ha inventato la World Music, "quella musica che gli occidentali non fanno", ne deve tenere conto. La definizione nacque a Londra nel giugno del 1987. I responsabili delle etichette indipendenti britanniche, gli organizzatori del Festival di Womad (World of music, arts & dance) e alcuni giornalisti musicali si erano dati appuntamento in un pub. Bisognava fare qualcosa per tutti quei dischi che cominciavano ad arrivare dagli angoli più remoti del pianeta. Innanzitutto era necessario dare un n