Processo-verità, Lumet trasforma Vin Diesel
VISTO DAL CRITICO
SIDNEY Lumet, uno dei grandi del cinema americano, torna, ultraottantenne, in quelle aule giudiziarie da cui era felicemente partito, negli anni '50, con «La parola ai giurati». E la fa scegliendo un processo record che, alla fine degli '80, allineò 20 imputati, 20 difensori, 76 capi di imputazione e pretese 21 mesi di udienze, concludendosi con una sentenza anomala, pronunciata dopo solo 14 ore, che ebbe comunque il pregio di esorcizzare il pregiudizio, molto diffuso in quegli anni, che chiunque avesse un nome italiano facesse parte di una «famiglia» mafiosa. Al centro, a tener le fila di tutta la vicenda, un italo-americano già finito all'ergastolo, Jackie DiNorscio, un personaggio preso dalle cronache come quasi tutti quelli attorno a lui, che rifacendosi alla Costituzione Americana, pretese e ottenne di difendersi da solo. E tutto il film è questa difesa, disseminata da molti colpi di scena, ma soprattutto, attraversata da motteggi, beffe, atteggiamenti furbi per smentire certi testimoni con cui DiNorscio, comportandosi spesso come un clown, era così abile da suscitare spesso le risa dei giurati e facendo dire di conseguenza da un preoccupatissimo Pubblico Accusatore che, secondo un certo detto, «una giuria che ride non punisce». Attorno, naturalmente, altri personaggi, all'insegna di una cifra di base, ampiamente dimostrata da DiNorscio, che in quegli ambienti tutti sono solidali tra loro e che nessuno, pur fatto segno a lusinghe di vario tipo, è deciso a tradire i suoi, anche se, spesso, divisi tra loro da risentimenti privati. Lumet, senza proprio parteggiare per il crimine, lascia comunque che il protagonista esponga con successo le sue ragioni (e quelle dei suoi). Ricavandone uno spettacolo che, nonostante la sua lunghezza (125 minuti), fila via con tutti gli accorgimenti necessari per pretendere l'attenzione sempre crescente dello spettatore. Con l'abilità di costruire a tutto tondo la psicologia di quel protagonista che, pur con le sue colpe dichiarate, riesce a muoversi in cifre in cui qualcosa di buono riesce a dimostrarlo. Restando sempre fra le pieghe di quella cronaca dal vero cui tutto si affida dato che molte situazioni e molte battute sono fedelmente riprese dagli atti pubblici di quel processo. Le domina, con verosimili colori, Vin Diesel, passato con fortuna dai film d'azione in cui finora si era imposto, in climi in cui doveva dar spazio non solo agli impeti ma anche all'ironia.