«Prima di tutto difendo la vita»
Musica, ideali, amici. Nek si racconta alla vigilia del concerto romano
Dopo aver vinto l'edizione 2005 del Festivalbar davanti ad un pezzo da novanta come Jovanotti, Nek a novembre ha riempito il Forum di Assago, come fanno le grandi star, e poi si è messo in giro per l'Italia, riscuotendo grandi consensi. Dopodomani sarà al Palalottomatica, e le prevendite già fanno presagire un tutto esaurito. «Per me è la prima volta al Palasport di Roma, e sono molto contento per l'andamento delle prevendite», ci dice Nek mentre è in viaggio per Chieti, tappa del tour. «Una parte di me» costituisce ovviamente la spina dorsale dei concerti. È notturno perché l'hai scritto e registrato di notte, o perché ha un suono diverso dai precedenti? «Il fatto di averci lavorato di notte ha influito sul suono, ma anche sui contenuti, perché è un album introspettivo». «Non vale un addio» (una delle nuove canzoni) l'hai scritta per un amico che ha provato a suicidarsi. È un messaggio erga omnes o solo una dedica personale? «La canzone prende spunto da un fatto che mi ha toccato personalmente, ma siccome mi rivolgo ad un pubblico molto vasto il messaggio arriva sicuramente anche a chi ha intenzioni autodistruttive. La morale di fondo è questa, nulla giustifica un addio». A proposito di morale, «In te», una tua vecchia canzone sanremese (1993), fu giudicata antiabortista, e questo all'epoca ha suscitato molte polemiche. La scriveresti ancora o hai cambiato opinione? «Se avessi partecipato oggi a Sanremo con quella canzone avrei avuto probabilmente più consensi. Ma quella dell'aborto è una questione di coscienza talmente personale che è anche difficile parlarne. Dico solo che una donna non può decidere di abortire senza dirlo al padre del bambino. All'epoca io mi lasciai trascinare dalla forza di quelle parole e da ragazzo inesperto quale ero fui travolto dagli eventi. Sono sempre a favore della vita, ma oggi sono più disposto a comprendere le motivazioni di una donna che prende una decisione così terribile». Nel tuo album precedente, «Le cose da difendere», lamenti la mancanza del rispetto, soprattutto da parte dalla stampa, rea di averti maltrattato senza motivo. «Il pubblico mi ha sempre rispettato, invece molti giornalisti hanno avuto un forte pregiudizio nei miei confronti, offendendo anche la loro stessa intelligenza». ...che tu stai facendo funzionare. «Darei più di tutto quel che ho» è ispirata a Tango Del Viudo, una poesia di Pablo Neruda...già conoscere Neruda non è cosa da niente... «Bè, sono cresciuto ed anche maturato...». Quindi non è un caso che tu non abbia bisogno più di tormentoni come «Laura non c'è» per tirare la volata ai tuoi album... «Adesso sono molto più selettivo nella scelta delle melodie, cerco scrivere delle canzoni popolari ma anche originali». «Laura non c'è» parlava di una vicenda personale ma comunque esprimeva la sofferenza dell'abbandono. Adesso che sei ricco e famoso, la temi ancora? «Io non temo la morte, il dolore fisico, quello morale, ma ho il terrore della solitudine». In «Darei più di tutto quel che ho» c'è un riff di chitarra che ricorda la «Purple Rain» di Prince. Stai tirando fuori le tue reminiscenze rock adolescenziali... «Sì, è probabile che in questo disco sia molto più udibile quello che io ho ascoltato da ragazzo, all'inizio amavo il country, poi sono passato ai Clash ed ai Van Halen, e quindi è naturale che certe cose vengono fuori, ma in modo tenue, perché io tengo un piede nel pop ed uno nel rock». Tu sei di Sassuolo. In Emilia si è sviluppato gran parte del rock italiano, c'è una ragione? «Sassuolo in latino si chiamava Saxum Oleum, e l'emblema è rappresentato da tre pietre con due fiori e sotto un fiume nero, perché in passato si diceva che ci fosse il petrolio. In collina ci sono canyon che ricordano il deserto californiano. Evidentemente c'è qualcosa che lega questa zona all'America».