Due destini e l'orrore della Storia
Regia intellettualistica della catalana Coixet. Convince Tim Robbins
UNA piattaforma petrolifera isolata nel mare. Un uomo che, nel vano tentativo di salvare un amico da un incendio, si è gravemente ustionato, perdendo temporaneamente la vista. Una giovane infermiera che lo assiste. Menomata anche lei, perché affetta da una sordità cui pone riparo solo con un apparecchio acustico. Anche per questo parla poco, ma tace soprattutto su di lei e sul suo passato avvolto nel mistero. A contatto dell'infermo, però, percependo in lui, forse per la prima volta nella sua vita, dei sentimenti sinceri via via sempre più caldi, a poco a poco si apre, rivelando una terribile realtà: è reduce dalle guerre balcaniche, è stata stuprata dalla soldataglia, ha assistito a atrocità d'ogni sorta. Quando l'uomo guarirà poiché nel frattempo è partita, andrà a cercarla e probabilmente uniranno i destini. Si è scritta il testo e poi lo ha realizzato una regista catalana, Isabel Coixet, di cui si è visto qui da noi tempo fa un altro film di tipo analogo, «La mia vita senza me». Il tono è scopertamente letterario, fino all'intellettualismo. Quell'incontro fra un cieco e una sorda tende a caricarsi di riflessioni e di allusioni, con accenti sempre piuttosto sospesi da cui la realtà di cronaca sembra intenzionalmente bandita. La si accoglie, invece, e allora in modo quasi duro, quando la ragazza racconta i drammi che ha subìto e quelli, perfino più orrendi, cui ha assistito. Spiegando, con questo, le sue continue ritrosie e, per un altro verso, quel bisogno di affetti autentici che alla fine le risolveranno i suoi traumi. Ci sono, però, pur nella sincerità dell'esposizione, dei modi molto trattenuti, quasi, nonostante quel contesto realistico e il passato anche più realistico poco evocato, si tenda soprattutto ad una sorta di «cinema da camera» via via trasformato in uno psicodramma. Anche alcuni elementi di contorno, un cuoco spagnolo, un'oca finita lì per caso, sono espressi solo in modo quasi allusivo, per far pesare su tutto il contesto uno sguardo da «autore», più attento ai simboli che non ai fatti. Dei meriti comunque ci sono, non ultima quella rievocazione degli orrori balcanici che trasforma presto l'intimismo della vicenda in uno sferzante atto d'accusa contro le nefandezze della Storia. Come ce le prospetta, a margine, nelle vesti di un personaggio reale, Julie Christie, raccolta nel suo fascino. Il protagonista è Tim Robbins, convincente come sempre, la ragazza è Sarah Polley, già vista nella «Vita senza me».