«Come sposati ma senza sesso»
Stasera a Roma i Pooh celebrano i 40 anni di una gloriosa carriera
1966-2006, quasi un giubileo, una festa che comincia stasera al Palalottomatica di Roma (2 ore e 45 minuti di musica, gli ultimi biglietti disponibili sono in vendita presso la struttura) e prosegue a marce forzate attraverso il Belpaese fino allo sfinimento fisico. I Pooh celebrano così il quarantesimo anniversario di nozze, già lontane quelle d'argento, vicine (e ci arriveranno) quelle d'oro. Per rendere conto della loro carriera, e dei numeri che la certificano (30 album realizzati, 22 milioni di copie vendute, 15 dischi d'oro, 42 di platino, migliaia di concerti, un Sanremo solo ma da vincitori, centinaia di premi e riconoscimenti vari, e siamo andati per difetto) ci vorrebbe un volume della Treccani. Ma i numeri, seppur esplicativi, non bastano a spiegare il fenomeno Pooh, per quello ci vorrebbe un sociologo. Non siete stanchi di rispondere alle domande dei giornalisti? «Per fortuna la generazione dei critici musicali è un po' cambiata - risponde Stefano D'Orazio, il batterista della band - ed è mutato anche il loro pregiudizio nei nostri confronti. Ci annoiamo molto meno di una volta. Però la tua domanda si può fare solo ad un gruppo che ha quarant'anni sulle spalle. In realtà è anche un modo per raccontare come mai dopo tanti anni ci viene ancora voglia di fare i Pooh». Già, come mai? «Forse perché abbiamo ancora un po' di curiosità…. anche di vedere l'effetto che fanno le cose nuove che tiriamo fuori dal cassetto... Dopo tanto tempo si sfasciano anche i migliori matrimoni. Infatti, e poi il nostro è un matrimonio senza sesso, forse resiste proprio per questo». Potreste fare uno scambio di coppie, che so, con la Pfm o i New Trolls... «È un'idea, come gli amanti. L'alchimia è una, ci divertiamo ancora, ma se non avessimo avuto il suffragio del successo, forse non staremmo qui a raccontarlo. Trovarsi sempre davanti delle facce nuove, senza perdere le vecchie, è un grande stimolo. E anche una responsabilità. Certo, sai che devi qualcosa a qualcuno, che si aspettano qualcosa da te». Il successo è anche una droga... «Che ti manca quando non c'è. Ci dicessero che abbiamo venduto solo venti biglietti, l'alchimia si romperebbe in un secondo, capiremmo che è ora di andare in vacanza». I Beatles sono durati poco, ma vi hanno influenzato un bel po'... «Non solo loro. Noi siamo stati completamente contaminati dal beat inglese dell'epoca. Abbiamo cominciato con l'imitarli e poi abbiamo trovato un'identità nostra». Avete rispolverato anche il moog. «Abbiamo rispolverato tutto, addirittura il vecchio mellotron, registrato e memorizzato su computer, perché non ce la fa più ad andare in giro. Ogni tanto ci viene anche voglia di riproporre le sonorità degli anni '70, tipo quelle di "Parsifal"». Le stesse che all'epoca vi ha affrancato dalla forma-canzone, o canzonetta. «Diciamo che avevamo voglia di uscire dal canone classico della canzone, di non ricorrere ai cosiddetti "pezzoloni". Anche negli album più complessi ad un certo punto arrivava il pezzolone. Invece il nostro "Parsifal", a differenza di quello wagneriano, abbracciava il piccolo quotidiano». Però la critica vi ha sempre bastonato per «Tanta voglia di lei» e similia, nonostante il consenso popolare. «Noi l'abbiamo sempre presa serenamente, perché alla fin fine questo pregiudizio era anche giustificato dalla proposta che noi divulgavamo, perché se è vero che in "Poohlover" parlavamo di omosessualità, prostituzione e di tutte le emarginazioni possibili, è anche vero che il singolo era "Linda". Il nostro grande successo in fondo è venuto dalle canzoni cosiddette "di sentimento"». La generazione dei vostri figli, come Dj Francesco, tutta Mp3 e telefonini, come la giudicate? Non è preoccupante che degli adolescenti vadano a vedere un concerto di sessantenni? «La cosa ha due facce: una è che per fortuna il nostro è un linguaggio senza tempo, il cuore che batte a Dj Francesco è lo stesso che batteva a me trent'anni fa, ci sono solo sensibilità diverse. Invece il fatto che non ci sia più una musica