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Un lirismo dolente in cerca di salvezza

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50,? 8). Il tema della senilità è forse il più disperato appello alla salvezza, ma quale? Quella dell'illusione di vivere in un istante di beatitudine, la certezza di una eternità non dimidiata, ma empirica e sostanziale nella consapevolezza di esistere. Ma c'è una salvezza ancora più confortante e più illusoria, la fresca bellezza dell'incarnato di una giovane donna e di un amore che, unico, trionfa sulle ceneri del tempo, ma vive lo struggimento della nostalgia di fronte all'irreversibilità della morte. Parafrasando versi solari di «antichi» poeti come Lorenzo de' Medici, Antonio Saccà mantiene integra l'eredità della condizione umana destinata a «morire senza allegria». Il ritmo dei versi è scandito dal pensiero dominante della morte che si scioglie in accenti di pura «estasi» nel dolce pensiero di una sessualità disinvolta, cadenzata da toni boccacceschi di sicuro effetto culto, ma non pedante. È in realtà il gioco crudele di eros e tanatos, dove la morte trova nella sua metamorfosi la vita. E viceversa. «La mia vita/spesso/è trattenuta/in vita/esclusivamente/dallo sguardo/ a una donna/». Nei versi del nostro Autore non esiste redenzione, né riscatto. Non esiste la speranza, né conforto, non esiste fuga. Esiste la realtà della fine e l'annulamento di ogni speranza. Esiste una intenzione precisa: «L'ultimo sguardo per te,/donna,/non per la morte».

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