«Gli italiani? Troppo maschi per lasciarsi amare»
In «Angel-A» il regista francese lancia la modella Rie Rasmussen nel ruolo della dea protettrice
Un film personalissimo, in bianco e nero e a basso costo: una favola sospesa tra le atmosfere oniriche di Frank Capra e quelle surreali di Wim Wenders, con tanto di angelo della salvezza. Un angelo femminile, interpretato dalla modella e attrice danese Rie Rasmussen, affiancata dal comico francese Jamel Debbouze, in una Parigi luminosa e piena di passioni. La storia, girata in nove settimane, si distingue per i suoi contrasti, tra bianco e nero, angelo e demone, interno ed esterno, ma soprattutto tra l'altissima attrice (1 metro e 86) piena di vitalità e il piccolo protagonista, un extracomunitario di origine magrebina, depresso e infelice. «Sono quasi cinque anni che lavoro ad «Arthur e i Minimei», film tratto da una saga per ragazzi in tre volumi che io stesso ho scritto - ha detto ieri Besson -. E così avevo voglia di fare una pausa, di abbandonare i geni dell'informatica per tornare a qualcosa di più reale, con una vera macchina da presa e degli attori in carne e ossa. Angela è il nome del personaggio che, non solo si fa salvare dal brutto anatroccolo, ma alla fine diventerà anche la sua guida. Però l'obiettivo per lei, che é un vero angelo in missione, sarà quello di liberare il poveretto, soprattutto dai suoi fantasmi. Ci riuscirà, come nella migliore tradizione favolistica. Jamel riavrà la libertà e Angela un inaspettato futuro. Volevo mostrare l'angelo e il diavolo che sono in ognuno di noi. Jamel è infelice perché non si accetta: oggi, tutti vorremmo essere come Brad Pitt, ma non è possibile. Ho scelto un inedito angelo-donna perché pochi accettano, soprattutto tra gli imperanti machi italiani, il fatto che ogni uomo abbia una percentuale maschile al 51 per cento e una femminile al 49. So bene di non essere troppo amato dai Francesi, in particolare dai giornalisti, i quali non sopportano la relazione privilegiata che ho con il pubblico. Così, quando realizzo un film diverso, come questo, dicono: «Ma Besson chi si crede di essere?». La verità è che si ha paura di ciò che non si conosce. Nelle banlieue parigine, ad esempio, ci sono giovani che fanno una vita difficile, che hanno solo voglia di andarsene da quei quartieri e di emergere. Altri, invece, si lasciano prendere dalla violenza per far sentire la loro voce, troppo spesso ignorata». Infine, Besson ha chiarito l'interrogativo delle voci che girano circa la sua volontà di mettere fine alla sua cinematografia. Dopo «Angel-A» e «Arthur e i Minimei» (sua decima pellicola, d'animazione, sulle strabilianti avventure di un ragazzo, con le voci di Madonna e David Bowie), Besson ha confermato che potrebbe davvero dire addio al cinema. «Certo, potrei anche ritrovare delle buone ragioni per andare avanti. Però, sono anni che dico che al decimo film mi sarei fermato. Tutto nasce dal fatto che in questi ultimi tempi mi hanno offerto molte megaproduzioni e così mi sono imposto questo limite. Una sorta di stratagemma per scegliere meglio, proprio come fa un cacciatore quando rimane con poche pallottole nella cartucciera: allora, ci pensa bene prima di sparare l'ultima cartuccia, la sua ultima chance».